Un uomo e una donna camminano nel verde di un parco mano nella mano

Come curare la disfunzione erettile?

Come curare la disfunzione erettile?

Il sistema urinario: problemi e soluzioni – 2° Parte

La più frequente e iniziale forma di trattamento per un paziente affetto da problemi di erezione è quella di riconoscere e possibilmente cercare di modificare o rimuovere tutti i fattori di rischio alla base di una cattiva salute sessuale, ovvero un errato stile di vita, una dieta ricca di grassi o anche assunzioni di droghe o farmaci che implichino effetti collaterali negativi sulla funzione erettiva del pene. In molti casi tuttavia, non è possibile riconoscere una sicura causa di disfunzione erettile (DE), e quindi lo specialista andrologo è portato a proporre una terapia sintomatica che permetta comunque al paziente di ottenere un’erezione soddisfacente.

Nei casi di disfunzione erettile su base psicogena, possono essere proposti vari tipi di trattamento: comportamentale, cognitivo, analitico etc., a seconda delle componenti maggiormente preponderanti dal punto di vista psicosessuologico.

Nei casi di disfunzione erettile su base ormonale invece, la terapia sostitutiva con testosterone può essere efficace quando è dimostrato un deficit androgenico, ma deve essere indicata solo quando altre possibili cause endocrinologiche di DE siano state escluse (come ad esempio iperprolattinemia, iper o ipo tiroidismo). Ricordiamo inoltre che il paziente in età fertile deve essere correttamente informato sulle implicazioni che una terapia ormonale sostitutiva a base di testosterone può avere sulla spermatogenesi e più ampiamente sulla salute riproduttiva maschile.

Inoltre, fermo restando che spesso la disfunzione erettile può raffigurare un campanello di allarme per la salute generale dell’uomo, ovvero ad esempio rappresentare un precoce esordio di angiosclerosi antecedente un episodio di ischemia maggiore, o di una microangiopatia diabetica, trattare i fattori di rischio sottostanti (es. ipertensione, iperglicemia) può portare ad un progressivo miglioramento della sintomatologia.

Tra i farmaci di prima linea nel trattamento della disfunzione erettile ritroviamo gli inibitori selettivi delle fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5-i). Questi farmaci determinano una vasodilatazione a livello penieno, e agiscono migliorando l’afflusso e l’intrappolamento del sangue all’interno dei corpi cavernosi, determinando quindi una migliore qualità dell’erezione. Essi possono essere utilizzati al momento di un rapporto sessuale (somministrazione acuta) o nell’ambito di un programma riabilitativo della circolazione del pene (somministrazione cronica).

É bene ricordare che questi farmaci rafforzano la dinamica fisiologica dell’erezione e quindi agiscono solo a patto che vi sia un’adeguata stimolazione sessuale e quindi desiderio. Le molecole attualmente disponibili in commercio sono il Sildenafil, Vardenafil, Tadalafil ed Avanafil, che hanno differenti velocità di azione e durata. Tali farmaci devono essere valutati e prescritti sotto stretto controllo medico specialistico a seconda delle esigenze da parte del paziente. Infatti, soltanto dopo un accurato e dettagliato percorso diagnostico e di counselling, lo specialista andrologo potrà cucire la terapia sulla base di ciascun singolo paziente e dunque adattarla alle sue necessità e abitudini sessuali. Tuttavia, nei casi di disturbi organici severi, come ad esempio nei soggetti con gravi disturbi vascolari oppure nei pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia demolitiva in cui vi è stata l’interruzione dei circuiti nervosi necessari a innescare l’erezione (asportazione della vescica o del retto, asportazione della prostata), è possibile che non vi sia una risposta alla terapia orale.

In tali casi generalmente si passa ad un trattamento di seconda linea, che prevede le somministrazione di sostanze vaso-attive (Alprostadil) sotto forma di iniezioni intracavernose o creme ad applicazione locale intrauretrale. Anche questi farmaci, come quelli somministrati per bocca, possono essere utilizzati al momento di un rapporto sessuale (somministrazione on-demand, al bisogno) o nell’ambito di un programma riabilitativo della circolazione del pene (somministrazione cronica).

Le somministrazioni vengono praticate attraverso delle iniezioni lungo la parete laterale del pene nei corpi cavernosi attraverso l’utilizzo di aghi corti e sottili (come quelli per la terapia insulinica). Questo trattamento rappresenta sicuramente una soluzione più invasiva ma molto efficace (abbiamo infatti una risposta completa in oltre l’80% dei pazienti). Queste iniezioni peniene inizialmente vengono eseguite dallo specialista per trovare il dosaggio adeguato a ciascun paziente (training ambulatoriale), poi volendo, i pazienti possono autogestirsi la terapia, imparando la semplicissima metodica manuale.

Gli effetti collaterali sono rappresentati dalla possibile insorgenza di erezioni prolungate che non recedono spontaneamente anche dopo alcune ore (stato patologico definito priapismo) e che richiede un trattamento specifico ospedaliero immediato per la risoluzione.

É importante citare tra i possibili trattamenti coadiuvanti per la cura della disfunzione erettile il Vacuum Device: un dispositivo che crea un vuoto meccanico attorno al pene richiamando sangue all’interno dei corpi cavernosi al fine di riattivare la funzione erettiva che in qualche modo si è danneggiata. Spesso tali dispositivi vengono utilizzati in congiunta ai trattamenti precedentemente citati, per potenziare la qualità dell’erezione.

Infine l’intervento chirurgico – ovvero l’impianto di una protesi peniena – ha sempre rappresentato il trattamento di terza linea, da indicare nei pazienti con DE severa che non rispondono in modo soddisfacente (non-responders) a nessuna terapia medica o intracavernosa, costituendo però al tempo stesso l’unica soluzione efficace al 100% in grado di risolvere la disfunzione erettiva in maniera permanente.

Articolo a cura del Dott. Andrea Cocci e del Dott. Gianmartin Cito

(Leggi la prima parte qui e la terza parte qui)

Due mani operano una finta tiroide costruita con pezzi di puzzle

Ipotiroidismo: parliamo di dieta e alimentazione

Ipotiroidismo

Parliamo di dieta e alimentazione

La tiroide è una ghiandola endocrina dalla caratteristica forma di farfalla che si trova nella parte anteriore del collo e che è coinvolta in numerose funzioni dell’organismo, soprattutto quelle che regolano il nostro metabolismo.

L’ipotiroidismo è una sindrome che rende insufficiente l’azione degli ormoni tiroidei, prevalentemente quando la tiroide stessa non ne produce una quantità sufficiente con un conseguente squilibro di tutto l’organismo. Soffrire di ipotiroidismo può rallentare il metabolismo, causando aumento di peso, affaticamento e altri sintomi.

Come gli studi scientifici più recenti suggeriscono, l’ipotiroidismo è collegato ad un maggiore rischio di malattie cardiache, problemi di salute mentale ed altre problematiche tra le quali tre che sono specifiche per le donne:

  • Le donne con ipotiroidismo soffrono spesso di irregolarità del ciclo mestruale che variano da periodi assenti o poco frequenti a periodi molto frequenti e dal flusso abbondante. Queste irregolarità mestruali possono rendere difficile la gravidanza ed essere un vero e proprio fattore di infertilità.
  • Le donne incinte affette da ipotiroidismo hanno un aumentato rischio di aborto spontaneo durante la gravidanza.
  • Un altro tipo di disturbo che colpisce la ghiandola tiroidea è chiamato gozzo. Il gozzo provoca un gonfiore nella ghiandola tiroidea che può essere accompagnato o meno da carenza o eccesso ormonale. Un nodulo tiroideo è un gonfiore localizzato della ghiandola ed è quattro volte più comune nelle donne.

Spesso la via medica per trattare questa sindrome è quella che prevede di ricorrere all’uso di medicinali in grado di riequilibrare l’organismo rimpiazzando gli ormoni tiroidei mancanti.

Dieta e Ipotiroidismo

La dieta e le scelte alimentari non sono in grado di curare l’ipotiroidismo ma svolgono tre ruoli fondamentali che vanno conosciuti per gestirne la condizione:

  • Gli alimenti che contengono determinati nutrienti possono aiutare a mantenere una corretta funzione della tiroide, per esempio lo iodio, il selenio, lo zinco.
  • Altri alimenti invece interferiscono a detrimento della normale funzione tiroidea, come quelli contenenti soia. Limitando questi prodotti alimentari i sintomi possono essere alleviati.
  • Alcuni alimenti e integratori, infine, possono interferire negativamente con il modo in cui il corpo assorbe i farmaci sostitutivi della tiroide. La limitazione di questi alimenti può quindi aiutare l’organismo.

L’ipotiroidismo rallenta il metabolismo. Per questo è spesso correlato all’aumento di peso. Le persone affette da questa sindrome dovrebbero porre quindi particolare attenzione alla loro dieta, scegliendo prodotti in grado di diminuire l’effetto della mancata produzione ormonale.

È quindi utile conoscere quali sostanze siano in grado di migliorare la qualità della vita di chi è affetto da ipotiroidismo e in quali alimenti si possano reperire naturalmente.

IODIO

Il nostro corpo non è in grado di produrre naturalmente lo iodio, sostanza però necessaria alla produzione di ormoni.  È quindi importante assurmere questa sostanza scegliendo cibi in grado di fornirne come:

  • formaggi
  • latte
  • gelato
  • sale da tavola iodato
  • pesce d’acqua salata
  • uova intere

Bisogna fare attenzione al fatto che anche un’assunzione di quantità troppo elevate di iodio può contribuire a peggiorare l’ipotiroidismo o a produrre ipertiroidismo. Per questo è sempre indicato rivolgersi ad un professionista in grado di costruire con il paziente e poi modificare nel tempo una dieta corretta.

SELENIO

Il selenio è nutriente antiossidante che svolge un importante ruolo nella produzione degli ormoni tiroidei. Gli stessi tessuti della tiroide contengono il selenio in maniera naturale.

Gli alimenti ricchi di selenio includono:

  • tonno
  • gamberi
  • manzo
  • tacchino
  • pollo
  • prosciutto
  • uova
  • fiocchi d’avena
  • pane di farina integrale

ZINCO

Lo zinco è un altro nutriente che ha importanti effetti benefici sugli ormoni tiroidei e quindi sul metabolismo del nostro organismo.

Gli alimenti ricchi di zinco includono:

Gli alimenti che sarebbe meglio evitare

Alcuni alimenti contengono sostanze nutrienti che potrebbero contribuire ad un cattivo funzionamento della produzione tiroidea. Anche se non stiamo parlando di alimenti da vietare, un uso ridotto si è dimostrato efficace nel ridurre le sintomatologie di questa sindrome.

GOZZIGENI

Tra gli alimenti che contengono gozzigenianti-tiroidei possiamo segnalare:

  • cavoli
  • cavoletti di Bruxelles
  • cavolo russo
  • broccoli
  • cavolfiore

È molto importante però ricordare come questi alimenti offrano anche molti benefici per la salute. Le persone affette da ipotiroidismo possono assolutamente godere di questi cibi se assunti con moderazione: gli scienziati ritengono che questi cibi influenzino solo gli ormoni di chi ne consuma in eccesso. Va aggiunta l’importante informazione che il processo di cottura sembra disattivare gli effetti negativi sulla tiroide delle sostanze gozzigene.

SOIA

Negli ultimi anni alcuni ricercatori hanno scoperto che la soia può interferire con il modo in cui la tiroide produce ormoni.

In uno studio clinico pubblicato nel 2017, una paziente aveva sviluppato un grave ipotiroidismo dopo aver consumato una bevanda salutare contenente elevate quantità di soia per 6 mesi. Le sue condizioni sono poi migliorate dopo aver sospeso la bevanda e assunto farmaci sostitutivi dell’ormone tiroideo.

Gli alimenti che contengono soia includono:

  • latte di soia
  • salsa di soia
  • fagioli di soia
  • tofu
  • miso

ALIMENTI PROCESSATI o TRASFORMATI

Una persona dovrebbe evitare gli alimenti processati che tendono ad essere densi di calorie pur offrendo pochi benefici nutrizionali. Questa tipologia di alimenti è nota anche per favorire l’aumento di peso.

Esempi di alimenti perocessati includono:

  • Fast food
  • hot dog
  • ciambelle
  • torte
  • biscotti

GLUTINE

L’Ipotiroidismo può avere legami con una malattia autoimmune sottostante. Chi presenta i sintomi di questa sindrome può quindi essere più a rischio di altri di sviluppare altre condizioni autoimmuni come la celiachia.

La celiachia causa infiammazione cronica e danni all’intestino tenue a causa dell’ingestione di glutine. Il glutine è una proteina contenuta nel grano e in altri cereali, tra cui orzo, avena e segale.

Trattare la celiachia comporta seguire una dieta priva di glutine. Anche se non è ancora stato accertato un legame certo, le persone con ipotiroidismo autoimmune possono tentare di eliminare il glutine dalla loro dieta per vedere se i loro sintomi migliorano.


Come sempre queste informazioni e questi consigli hanno un carattere informativo. Il nostro intento è di farvi percepire l’importanza di affrontare questioni come l’ipotiroidismo assieme ad un professionista in grado di costruire con voi un percorso medico che corrisponda al vostro reale stato di salute. I professionisti di Villa Donatello, per esempio quelli che formano il team per il percorso di cura EndOsMet, sono a vostra disposizione per analizzare la vostra situazione personale.