una tazzina di caffè circondata da chicchi

Il caffè riduce il rischio di malattie cardiovascolari?

Il caffè riduce il rischio di malattie cardiovascolari?

Una nuova ricerca pubblicata sull’European Journal of Preventive Cardiology ha rilevato un’associazione tra bere caffè e vivere più a lungo, nel senso in cui si è studiato come l’assunzione della bevanda più amata dagli italiani sia in grado di contribuire a ridurre il rischio di malattie cardiovascolari.

In particolare, questo effetto è stato osservato tra coloro che bevevano circa due o tre tazze di caffè al giorno.

Tutti i tipi di caffè, tra cui macinato, istantaneo e decaffeinato, sembrano fornire questo supporto alla salute.

Gli effetti del caffè sulla durata della vita e sulla salute del cuore

Secondo gli autori della ricerca, l’obiettivo dello studio era quello di esaminare come bere vari tipi di caffè potrebbe influire sul rischio di episodi di ritmo cardiaco irregolare (aritmia), malattie cardiovascolari e livelli di mortalità.

Per condurre lo studio, i ricercatori hanno utilizzato i dati della UK Biobank: un ampio studio, tutt’ora in corso che sta fornendo ad un nutrito gruppo di ricercatori, dati medici e genetici di circa 500.000 volontari di età compresa tra i 40 e 69 anni età.

L’età media delle persone coinvolte nello studio è di 58 anni. Le donne costituiscono il 55,3% del campione.

I tipi di malattie cardiovascolari presi in esame sono stati la malattia coronarica, l’insufficienza cardiaca congestizia e l’ictus ischemico.

All’inizio dello studio, complessivamente, sono state reclutate 449.564 persone i cui dati parametrici escludevano aritmia o malattie cardiovascolari.

Agli intervistati è stato chiesto quante tazze di caffè bevessero su base giornaliera, così come la tipologia di caffè consumato. I dati raccolti sono poi stati inseriti in una categoria in base al loro livello di consumo, all’interno della quale sono stati inseriti, per un confronto, anche un gruppo soggetti che normalmente non consumano la diffusissima bevanda.

Le cartelle cliniche sono state utilizzate per valutare come i vari gruppi selezionati hanno reagito nel tempo.

L’analisi dei dati a disposizione del gruppo di ricerca ha portato alla scoperta che tutti i tipi di caffè erano associati a un ridotto rischio di morte per qualsiasi causa tra quelle sopraelencate e che, inoltre, la maggiore riduzione del rischio è stata osservata in coloro che usualmente consumano da due a tre tazze di caffè al giorno.

Tra le varie tipologie esistenti, il caffè macinato è stato collegato alla maggiore riduzione del rischio, con una probabilità di morte inferiore del 27% rispetto a coloro che non bevono solitamente il caffè.

Quelli relativi al caffè istantaneo sono i dati che, invece, hanno mostrato la minima riduzione del rischio all’11%. Tuttavia, tutti i tipi di caffè sembrano fornire una certa protezione.

Quando si vanno ad analizzare i dati relativi alle malattie cardiovascolari, tutti i tipi di caffè sono risultati collegati ad una evidente riduzione delle problematiche cardiovascolari. Questo effetto è stato misurato anche e soprattutto -di nuovo – ad un livello di consumo di due o tre tazze al giorno.

In questo contesto il caffè macinato ha fornito ancora una volta la maggiore capacità di riduzione del rischio al 20%, mentre il decaffeinato ha fornito la riduzione minima al 6%. Questo e altri dati disponibili suggeriscono che bere modeste quantità di caffè – da due a tre tazze al giorno di tutti i tipi – produce effetti cardioprotettivi.

Come mai il caffè è in grado di fornire questi benefici alla salute?

Sebbene lo studio non affronti direttamente questa domanda, i dati mostrano che ad essere d’aiuto potrebbe essere la presenza di caffeina.

La caffeina, infatti, ha proprietà antiaritmiche, in particolare grazie all’inibizione dei recettori dell’adenosina (una sostanza chimica presente nelle cellule umane). L’adenosina endogena accorcia i periodi refrattari sia nell’atrio (camera superiore del cuore) che nel ventricolo (camera inferiore del cuore) e di conseguenza aumenta il rischio di aritmie. Bloccando i recettori dell’adenosina, il caffè con caffeina è capace di mitigare gli effetti dell’adenosina endogena presente nel corpo e proteggere dalle aritmie.

Le persone con malattie cardiovascolari dovrebbero quindi bere caffè?

Il Dr. Jim Liu, cardiologo presso il Wexner Medical Center dell’Ohio State University, consiglia di bere il caffè con moderazione, sottolineando che è generalmente sicuro e che ha anche potenziali benefici per la salute cardiovascolare a lungo termine. Tuttavia, ricorda, il caffè è uno stimolante e può avere effetti a breve termine come aumento della pressione sanguigna e palpitazioni.

“Il caffè è uno stimolante”, avverte, “e può avere effetti a breve termine come aumento della pressione sanguigna e palpitazioni”.

Se una persona ne beve quantità eccessive sino al punto da sentirsi male a causa di palpitazioni fastidiose, privazione del sonno o altri effetti negativi, sarebbe meglio ridurlo – conclude.

È consigliato, inoltre, prestare attenzione a ciò che si aggiunge al caffè, come ad esempio lo zucchero. Alcune bevande e preparazioni a base di caffè contengono grandi quantità di zucchero e sono molto caloriche: il loro consumo può contrastare i benefici del caffè stesso.

Bisogna aggiungere anche che è stato dimostrato come l’assunzione di caffè possa in parte diminuire gli effetti dei medicinali per la cura dell’ipertensione. È quindi sempre fondamentale, da soggetto a soggetto, che l’ultima parola spetti al medico di fiducia: unico referente che, conoscendo l’anamnesi dei propri pazienti, è in grado di fornire il consiglio migliore.


 

immagine di un cheeseburger da fast food

L’alto costo del cibo economico

L’alto costo del cibo economico

Un cheeseburger, patatine e una bibita possono costarvi pochi Euro
ma gli esperti dicono che in realtà costi a tutti molto di più di quanto in realtà appaia sull’etichetta.

Danielle Nierenberg, presidente del think-thank no-profit alimentare chiamato appunto Food Tank, dice che si può capire meglio il concetto se teniamo una vera contabilità dei costi

“che è in realtà solo un nome di fantasia per questo modello economico che non tiene davvero conto di tutto ciò che diventa cibo – i costi invisibili o nascosti, come pure alcuni dei vantaggi nascosti “

“Si dovrebbe parlare davvero di tutto: dal fertilizzante che viene utilizzato per far crescere il grano che alimenta le mucche… fino all’inquinamento delle acque limitrofe ai distretti dove si confinano una quantità esorbitante di animali in poco spazio.”

foto di profilo di Danielle Nierenberg
Danielle Nierenberg

Gli americani – per utilizzare dei numeri che abbiamo a disposizione – stanno spendendo di meno per il cibo rispetto al passato e spendono meno di qualsiasi altro paese del mondo. Secondo The Atlantic,  una famiglia media negli Stati Uniti spende tra il 7 e l’11% del suo reddito per il cibo. Trenta anni fa la percentuale era molto vicina invece al 20%.

A partire dal  periodo tra il 1950 e gli anni ’60, il sistema alimentare dei paesi occidentali si è focalizzato su rendimenti più alti sulla produzione. I governi hanno distribuito denaro nel sovvenzionare produzioni massive piuttosto che favorire la produzione di alimenti davvero più indicati per una migliore salute della popolazione.

“I consumatori devono essere consapevoli che non stanno pagando al momento il vero prezzo. … Siamo abituati al fatto che il cibo sia molto poco costoso”, continua la Nierenberg. “Abbiamo in qualche modo dimenticato ciò che apprezziamo, o meglio ancora quello che dovremmo davvero apprezzare.”

Il cartellino del prezzo su un sacchetto di patatine potrebbe essere basso, ma Nierenberg afferma che in realtà qualcosa o qualcuno sta pagando per questo da qualche parte lungo la linea di produzione.

“Basterebbe guardare l’epidemia di obesità, di diabete o alle malattie cardiovascolari. Comprenderemmo davvero quanti costi sanitari producano”, dice la Nierenberg.

Attualmente, più di un terzo degli americani adulti (78,6 milioni di persone) sono obesi. E i costi associati con l’obesità non devono essere trascurati. I Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie stimano che le spese mediche di obesità negli Stati Uniti sono aumentati di circa 147 Miliardi di dollari nel 2008.

“Il consumatore non paga direttamente questi costi, ma tutta la cittadinanza alla fine finisce inevitabilmente per farlo in maniera indiretta”, prosegue la Nierenberg.

Sempre la Nierenberg sostiene che il costo ambientale di un buon mercato del sistema alimentare dovrebbe essere tenuto in maggior considerazione sia dalla classe politica che dai consumatori.

Gli scarichi agricoli contribuiscono all’inquinamento delle acque e riducono la biodiversità. Anche soltanto questi due effetti costano miliardi ogni anno.

Tuttavia, esistono idee per modificare questo trend.

“Quando le cose sono fatte in modo più sostenibile, si può catturare il carbonio dal suolo e preservare la biodiversità”, dice la Nierenberg.

Una modifica del sistema attuale è probabile che gravi sui consumatori qualche spicciolo in più all’inizio, ma produrrà maggiori benefici nel lungo periodo.

“Non stiamo parlando meramente di costi: se ci rendessimo conto di quanto il sistema alimentare può fare per combattere il cambiamento climatico o per promuovere un miglioramento del benessere animale e sociale… il prezzo da pagare sarebbe più accettabile e diffusamente compreso. Spiegando davvero la concatenazione degli eventi non penseremmo ad esso come a un fardello o a un costo enorme.”

La Nierenberg spiega che coloro che vogliono essere più consapevoli del consumo di cibo a buon mercato possono cominciare riducendo la quantità di cibo sprecato.

“Essere davvero consapevoli di quanto si acquista, facendo in modo che i nostri occhi non siano più grandi dello stomaco, sarebbe un modo davvero concreto con il quale tutti potremmo comprendere il vero costo delle cose nella nostra vita”.

“Il cibo è e probabilmente continuerà ad essere poco costoso per i consumatori dei paesi occidentali per un lungo periodo, ma non c’è alcuna ragione che spieghi e giustifichi la quantità di cibo che stiamo sprecando.”