Un gene proteggeva i nostri antenati dall’attacco di cuore

Circa 4 milioni di uomini e 3.5 milioni e mezzo di donne muoiono ogni anno nel mondo per attacco di cuore. L’infarto e le malattie cardiovascolari sono, a tutt’oggi, il nemico numero uno per la nostra salute.

Sappiamo benissimo quali siano gli indicatori da tenere sotto controllo per capire se si è più esposti al rischio di attacco di cuore: pressione alta, accumulo di colesterolo, vita sedentaria, fumo, stress, cattiva alimentazione…

Quello che la scienza si è sempre chiesto, però, è come mai in natura esistano esseri molto simili all’uomo, per esempio gli scimpanzè, che sembrano quasi totalmente immuni dal rischio d’infarto, anche in caso di sedentarietà e di livelli elevati di colesterolo.

La perdita di un singolo e specifico gene nei nostri antenati può aiutare a spiegare perché gli esseri umani sono gli unici animali in cui gli attacchi cardiaci sono comuni.

Per noi si è sempre trattato di un vero e proprio mistero – afferma il Prof. Ajit Varki della University of California San Diego School of Medicine – Ci siamo sempre chiesti che cosa ci fosse di insolito negli esseri umani, rispetto all’attacco di cuore.

Due o tre milioni di anni fa i nostri antenati hanno acquisito una mutazione genetica che ha inattivato un gene, rendendoci carenti di molecole chiamate acidi sialici. Nello studio, pubblicato dal PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United State of America), i ricercatori hanno modificato geneticamente alcuni topi così da essere più simili agli esseri umani nella loro carenza di una molecola di zucchero specifica chiamata Neu5Gc. Quello che è emerso dall’esperimento è che, nelle cavie modificate e sottoposte ad un regime alimentare ricco di grassi, la presenza di aterosclerosi (causa principale dell’insorgenza di infarti e ictus) era quasi il doppia rispetto a quella riscontrabile nei topi non modificati.

Anche se l’aterosclerosi può avere effetti devastanti sul corpo, l’inattivazione del gene CMAH avvenuta nella nostra razza non ha effetti soltanto negativi:

Certo, è una mutazione ormai permanente negli esseri umani, non è più possibile invertirla – conclude il Prof. Varki – In realtà non ha alcun senso pensare di invertirla perché porta con sè anche molti altri effetti, come quelli che aiutano a spiegare perché gli esseri umani sono molto bravi a correre su lunghe distanze.

Da questa ricerca, oltre alla semplice curiosità risolta su come fosse possibile essere più soggetti ad attacchi di cuore rispetto a specie simili alla nostra, si spera di sviluppare una sorta di antidoto che ci permetta di consumare delle  modiche quantità di carni rosse godendo dei loro nutrienti senza necessariamente subirne gli effetti negativi. A questo punto si ferma la notizia e comincia il necessario periodo di studio e approfondimento. Ovviamente vi terremo aggiornati qualora emergessero future novità.