La chirurgia dell’ernia inguinale: possiamo renderla perfetta?

Simposio

Lo scorso Venerdì 8 Novembre, presso lo Starhotel Michelangelo di Viale Fratelli Rosselli a Firenze, si è tenuto il Simposio La chirurgia dell’ernia inguinale: possiamo renderla perfetta? organizzato da Pier Luigi Ipponi, chirurgo dell’Ospedale S. Giovanni di Dio di Firenze e da lui moderato insieme a Francesco Tonelli. L’iniziativa, promossa dalla nostra Casa di Cura, rientra nelle attività previste da Villa Dontello Clinica Aperta in questo caso per ciò che attiene alla convegnistica.

Sono intervenuti portando la loro esperienza i chirurghi che in ambito toscano si interessano dei difetti della parete addominale ed in particolare dell’ernia inguinale: una delle patologie più comuni in ambito chirurgico.

A partire dagli anni ’80 l’intervento di ernioplastica secondo Bassini, per più di un secolo vanto della chirurgia italiana, è stato progressivamente abbandonato grazie al diffondersi nel nostro come in molti dei paesi occidentali, dell’impiego di tecniche tension-free e dell’utilizzazione di reti in materiale sintetico (la cosiddetta tecnica di Liechtenstein).

Matteo Giannelli della Chirurgia Generale dell’ospedale San Jacopo di Pistoia, dopo aver illustrato gli aspetti epidemiologici, ha riportato l’impatto che questa affezione esercita sull’organizzazione lavorativa di un reparto di chirurgia, richiedendo percorsi assistenziali differenziati in base alle condizioni del paziente ed all’entità del difetto erniario, che spaziano dalla chirurgia ambulatoriale alla degenza ordinaria.

Grande attenzione è stata dedicata all’analisi degli errori tecnici registrati sia nelle procedure tradizionali che mini-invasive.

Paolo Negro, Ordinario di Chirurgia Generale all’Università La Sapienza di Roma e considerato uno dei massimi esperti della materia, nel corso della sua presentazione ha esplicitato i potenziali effetti collaterali dei materiali protesici impiantati sui visceri addominali, come il colon e la vescica.

Giulio Nicita, esperto urologo, ha riportato la sua esperienza personale sull’accesso pre-peritoneale, che risulta vantaggioso nel trattamento delle ernie recidive o di concomitanti patologie urologiche.

Antonio Marioni dell’Ospedale di Cisanello di Pisa e Luca Felicioni dell’Ospedale di Grosseto, hanno affrontato l’approccio peritoneale rispettivamente mediante laparoscopia o robotica sottolineando vantaggi e svantaggi della metodica. Felicioni in particolare ha sottolineato che la soluzione robotica, attualmente criticabile per tempi e costi, potrebbe in futuro diffondersi data la richiesta sia da parte dei pazienti che degli operatori di questo nuovo approccio.

I materiali sono stati oggetto della presentazione di Andrea Manetti, del Policlinico di Careggi, che ha illustrato le caratteristiche e le differenze tecniche dei vari prodotti presenti sul mercato, sottolineando la maggiore bio-compatibilità di quelli più recenti, frutto della ricerca scientifica condotta sulla risposta biologica all’impianto protesico.

La seconda parte del Simposio è stata incentrata sulla gestione delle più frequenti complicazioni post-operatorie.

L’infezione del sito chirurgico, trattata da Christian Galatioto del Policlinico di Pisa, nonostante la sua bassa incidenza rappresenta una vera sfida per il chirurgo che deve attuare una strategia terapeutica eclettica dettata dalle condizioni generali e locali del paziente, impiegando tutti i mezzi utili a scongiurare un eventuale espianto protesico.

Al pari dell’infezione, anche la sofferenza ischemica rappresenta una temibile complicanza, soprattutto nei pazienti in età fertile, come ha riferito Riccardo Piagnerelli, del Policlinico senese, che asserisce l’importanza della prevenzione al momento della liberazione del sacco erniario dagli elementi del funicolo spermatico.

Per ultimo è stato preso in considerazione il dolore cronico post-operatorio, complicanza dai risvolti sociali, data la natura invalidante della sintomatologia.

Giuseppe Canonico, chirurgo all’Ospedale di San Giovanni di Dio di Firenze, riporta la natura eziopatogenetica multi-fattoriale, quale il fattore meccanico, come il nerve entrappement, o la reazione flogistica indotta dal materiale protesico. Dall’esposizione degli esperti è emersa la necessità di seguire un algoritmo diagnostico/terapeutico precoce, condotto inizialmente in maniera conservativa, come dimostrano i promettenti risultati della scrambler therapy, illustrata da Renato Vellucci, terapista del dolore presso il Policlinico di Careggi, riservando il trattamento chirurgico solo alle forme refrattarie, come sostenuto da Massimo Ranalli chirurgo di Poggibonsi.

Il commento finale espresso da Paolo Cappellini, direttore della chirurgia dell’Ospedale S. Giovanni di Dio di Firenze, sintetizza la complessità della materia che suggerisce auspicabile in un prossimo futuro l’istituzione di una nuova branca specialistica della chirurgia generale: quella che si occupi dei difetti primitivo o secondari della parete addominale.