intervento chirurgico in una sala operatoria

Le medicine non bastano, come si cura l’ipertrofia prostatica?

Il Sistema urinario: problemi e soluzioni – 9° parte

Nei casi in cui i pazienti non dovessero rispondere o tollerare il trattamento farmacologico e nei casi in cui si dovessero sovrapporre complicanze legate all’ostruzione causata dell’ipertrofia prostatica, alcune delle quali tali da porre a rischio la vita del paziente, lo specialista potrebbe decidere di intraprendere la strada del trattamento chirurgico allo scopo di trattare in tempi brevi e in maniera completa e persistente l’ostruzione urinaria, risolvendo quindi la sintomatologia legata ad essa.

Attualmente esistono molteplici possibilità chirurgiche per il trattamento dell’ipertrofia prostatica, alcune più invasive di altre come l’adenomectomia prostatica transvescicale (ATV); altre meno invasive tramite una chirurgia endoscopica che sfrutta la fisiologica via transuretrale così da diminuire le complicanze legate ad un intervento tradizionale (approccio mini-invasivo).

Anche le fonti di energia utilizzate possono essere molteplici, spaziando dalle tradizionali anse diatermiche per la resezione prostatica fino ai più moderni laser (i più comuni dei quali sono Olmio, Tullio e Green) o le ultime tecnologie non invasive che sfruttano l’acqua (Aquablation).

Anche le tecniche sono molteplici, potendo spaziare da resezioni, incisioni, adenomectomie o enucleazioni, lifting prostatici e vaporizzazione.

In tutti i tipi di intervento, al termine della procedura, verrà posizionato un catetere vescicale. La differenza tra le tecniche comporta diversi periodi di cateterizzazione, tasso di complicanze, effetti avversi e qualità di vita postoperatori.

Per resezione o TURP, usualmente effettuata mediante anse diatermiche taglienti che sfruttano energia elettrica ad alta frequenza trasformata in calore, si intende l’asportazione in piccole fette della porzione ostruente prostatica attraverso l’uretra senza tagli addominali; si tratta quindi di un intervento mini-invasivo.

La degenza è solitamente inferiore alla settimana, così come il periodo di cateterizzazione.

La complicanza più frequente è quella emorragica e tra i principali disturbi postoperatori vi sono transitori disturbi infiammatori e la permanente mancanza di eiaculazione.

L’incisione prostatica transuretrale (TUIP) prevede invece l’utilizzo di un elettrodo simile a quello utilizzato per la resezione ma a forma di cuneo, capace di effettuare un’incisione a livello del collo vescicale senza asportazione tissutale, con conseguente migliore dinamica minzionale.

Pur presentando vantaggi in termini di durata operatoria, complicanze e degenza, è gravata da elevata incidenza di re-interventi non presentando effetti permanenti, e non è utilizzabile in presenza di grandi volumi prostatici.

In presenza di volumi prostatici maggiori o in presenza di peculiari caratteristiche cliniche del paziente e della patologia, lo specialista potrebbe optare invece per le tecniche enucleative (adenomectomia) in cui la ghiandola viene letteralmente ripulita dal proprio nucleo centrale ingrossato, responsabile dei sintomi urinari. Queste possono essere effettuate mediante approccio chirurgico classico aperto, quindi con incisione della parete addominale prima e della parete vescicale successivamente, o mediante tecniche endoscopiche mini-invasive che sfruttano l’uretra come via d’accesso e diverse fonti energetiche (ansa diatermica o laser).

L’approccio chirurgico aperto è gravato da maggior degenza chirurgica e maggiori complicanze intra e post-operatorie, con elevato tasso di trasfusioni; l’approccio mediante laser invece oltre a ridurre la degenza chirurgica e i disturbi postoperatori immediati e tardivi, comporta il vantaggio di un minor rischio di sanguinamento.

Entrambe le tecniche tuttavia sono gravate, come nel caso della TURP, da mancanza di eiaculazione postoperatoria.

Le tecniche di vaporizzazione prevedono la completa rimozione dell’adenoma prostatico con creazione di un tunnel mediante un approccio chirurgico mini-invasivo e a basso rischio di sanguinamento; sono quindi la tecnica di scelta nei pazienti che effettuano terapie anticoagulanti impossibilitati alla loro sospensione e nei pazienti interessati a un decorso postoperatorio più breve. Le fonti utilizzabili possono essere sia laser che le più recenti tecniche ad acqua.

Infatti, nei pazienti interessati ad un approccio mini-invasivo e alla preservazione dell’eiaculazione postoperatoria, o in paziente che mal tollererebbero un’anestesia prolungata, è infine disponibile la vaporizzazione ad acqua o AQUABLATION. La tecnica prevede un approccio totalmente automatizzato che sfrutta un sistema di navigazione computerizzato in cui lo strumento è guidato dall’immagine ecografica, con conseguente abbattimento dei tempi operatori, fino a pochi minuti.

La tecnica sfrutta un getto d’acqua ad alta pressione senza necessità di produrre le forti energie termiche delle altre tecniche enucleo-resettive, limitando quindi il possibile danno alle strutture nervose limitrofe e garantendo così oltre a minori tempi operatori, periodo di cateterizzazione e degenza chirurgica, anche una minor incidenza di disturbi urinari transitori postoperatori e l’eventuale preservazione dell’eiaculazione.

Articolo a cura del Dott. Andrea Cocci e del Dott. Gianmartin Cito