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Ipertrofia prostatica benigna

Ipertrofia prostatica benigna

A Villa Donatello tutte le metodiche per trattarla:
un’intervista al Dr. Andrea Cocci

Oltre 6 milioni di uomini italiani over 50 soffrono di Ipertrofia prostatica benigna ed interessa l’80% degli uomini over 80.

Negli ultimi anni, 10 uomini su 100 tra i 40 e 50 anni hanno già sviluppato i primi sintomi, facendo così registrare un abbassamento della soglia di età di chi viene colpito
dall’ipertrofia prostatica benigna, che si manifesta anche negli over 30 con i primi disturbi alle basse vie urinarie.

Ad oggi, Villa Donatello è l’unica struttura in Italia che possiede tutte le metodiche disponibili per il trattamento di questa patologia.

Scopriamone di più con il Dr. Andrea Cocci, urologo e andrologo che lavora sia all’AOU Careggi – dove è assistente professore e ricercatore presso l’Università di Firenze – che a Villa Donatello, dove svolge la libera professione occupandosi delle patologie del tratto urinario, in particolare dell’ipertrofia prostatica e delle malformazioni urogenitali.

Dr. Cocci, che cos’è l’Ipertrofia prostatica benigna?

L’ipertrofia prostatica benigna è un fisiologico ingrandimento della prostata che colpisce gli uomini a partire dai 30 anni e non ha nessuna correlazione con il tumore alla prostata. Se la vogliamo vedere sotto un punto di vista più ampio viene considerata una malattia del benessere in quanto, adesso che l’aspettativa di vita supera i 78 anni, sempre più uomini soffrono di ipertrofia prostatica proprio perché l’ingrandimento è rientra nel normale processo di invecchiamento.

Spesso è invece la conseguenza di cattive abitudini quotidiane: avere uno stile di vita sano e corretto è fondamentale per la salute del nostro organismo.

La prostata è infatti una ghiandola estremamente sensibile all’infiammazione, condizione causata per esempio da una cattiva alimentazione, da una vita sedentaria, dal fumo: i pazienti che soffrono prostatiti, cioè infiammazioni prostatiche ripetute durante l’arco della vita, svilupperanno un’ipertrofia prostatica più precoce e più severa.

Quali sono i sintomi con i quali si manifesta l’Ipertrofia prostatica benigna?

L’ingrandimento prostatico causa sintomi di tipo urinario ostruttivo in circa l’80% dei pazienti, rendendo difficoltoso il normale passaggio dell’urina dalla vescica all’esterno del corpo.

Ci sono poi ipertrofie prostatiche che danno sintomi più importanti quali: la diminuzione del getto dell’urina; l’aumento della frequenza urinaria; la necessità di alzarsi la notte per andare in bagno; infezione frequente (cistite o prostatite) per l’impossibilità di svuotare la vescica, fino a sintomi più importanti come la disfunzione erettile o l’impossibilità di urinare con la necessità del posizionamento di un catetere vescicale.

Come viene scelta la tipologia di trattamento per portare il paziente alla guarigione?

La maggior parte dei pazienti è costretta ad assumere farmaci per guarire dall’ipertrofia prostatica benigna; molti altri sono costretti a ricorrere a delle terapie chirurgiche. Ogni trattamento scelto è comunque secondario ad una diagnosi ed il paziente dovrà essere prima inquadrato con tutta una serie di esami: più i sintomi sono importanti, più ci si sposterà su terapie maggiormente aggressive.

Per ogni paziente esiste la metodica giusta ed è estremamente utile che in un’unica clinica siano disponibili tutte le terapie e metodiche, in modo che l’urologo ed il chirurgo possano scegliere il percorso più adatto a trattare ogni singola prostata: una vera e propria tailor made therapy, una terapia sartoriale scelta in base ai sintomi e alla situazione medica del paziente.

Come viene trattata, in prima istanza, l’Ipertrofia prostatica benigna?

L’ipertrofia prostatica, come tutte le alte malattie, si approccia in una prima istanza a livello farmacologico. I farmaci disponibili sono di tre famiglie e dipendono chiaramente dal grado di severità della malattia. Si parte con i fitofarmaci, cioè farmaci di totale estrazione naturale che hanno un’azione antinfiammatoria molto blanda e che possono essere applicarti a pazienti con sintomi estremamente leggeri in particolare nella giovane età. Seguono i farmaci alfalitici, che vanno direttamente ad allentare la costrizione data dall’ingrossamento della prostata. Sono dei farmaci estremamente efficaci ma poco graditi dal paziente in quanto hanno lo spiacevole effetto collaterale di bloccare l’espulsione dello sperma durante l’orgasmo e questo è un qualcosa che molti uomini non gradiscono a prescindere dal miglioramento della condizione urinaria.

Infine, troviamo i farmaci antiandrogeni, che abbassano i livelli di testosterone: la prostata è testosterone dipendente e l’abbassamento dei suoi livelli ne provoca in qualche modo una minima diminuzione di volume.

Come è intuibile la diminuzione di testosterone ha degli effetti collaterali importanti, uno su tutti il calo della libido, anch’esso molto poco gradito dai pazienti.

Queste tre tipologie di farmaci vengono utilizzati non solo in sequenza a seconda della gravità dei sintomi, ma possono essere anche utilizzati insieme come terapia combinata in  pazienti dove l’ipertrofia prostatica si manifesta in maniera particolarmente severa.

Ovviamente non a tutti i pazienti funziona la terapia farmacologica: statisticamente parlando, su 100 pazienti, il 30% non trova una risoluzione con i farmaci e deve optare per un’alternativa chirurgica.

Quanti metodi chirurgici esistono e come vengono scelti?

I trattamenti non medici per gestire l’ipertrofia prostatica sono estremamente targettizzati su quello che è l’individuo.

Si dividono in terapia interstiziale e chirurgia resettiva.

I pazienti di oggi arrivano molto preparati alla visita con il medico e spesso suggeriscono la metodica con la quale vorrebbero essere operati: vogliono che tolga i sintomi urinari – quindi tutte le urgenze, le impossibilità di urinare, etc. –, che sia sicura, che porti ad una rapida ospedalizzazione e conseguente dimissione, e preferibilmente anche il mantenimento dell’eiaculazione.

Tutto questo non può essere fatto, ovviamente, prescindendo dalla condizione di partenza: ogni prostata ha la sua metodica di elezione ed è il chirurgo che sceglie il miglior cacciavite per quella vite.

In cosa consiste la terapia interstiziale?

Quando l’ipertrofia prostatica si presenta in pazienti con prostate non estremamente voluminose e molto intenzionati al mantenimento dell’eiaculazione, possono essere utilizzate le cosiddette terapie interstiziali, dove non si va a rimuovere del tessuto, ma si va ad inserire all’interno della prostata, chiamata adenoma, del calore, o con il vapore (Rezum) o con un laser (Echolaser o TPLA): lo shock termico provoca una retrazione del tessuto e quindi una diminuzione del volume della prostata.

L’intervento viene praticato in day-hospital, rimuovendo completamente la sintomatologia che per 5/6 anni non si ripresenterà.

Il giorno dopo l’intervento il paziente può riprendere le normali attività quotidiane.

Cos’è la chirurgia resettiva?

Quando la prostata è più voluminosa ed i sintomi sono più importanti, bisogna ricorrere a quelle che sono le metodiche chirurgiche resettive, dove il tessuto va asportato.

Queste si dividono in due grandi famiglie: l’ablazione con acqua – la metodica si chiama aquabeam ed è una tecnica robotica con cui si va ad asportare il tessuto in forma automatizzata attraverso un software che misura il tessuto da togliere e lo rimuove in forma automatica.

È una metodica particolarmente interessate perché oltre a rimuovere il tessuto, conserva l’eiaculazione.

Se invece i pazienti non sono particolarmente interessati all’eiaculazione ma hanno la necessità di procedere con una terapia resettiva, possiamo ricorrere ai laser.

Esistono tre tipi di laser: a olmio, chiamato HOLEP; laser a tullio, chiamato TULEP, laser a luce verde, chiamato GREEN LIGHT.

Queste metodiche hanno la capacità di andare a rimuovere il tessuto in maniera estremamente rapida. La differenza tra le metodiche resettive e quelle interstiziali è che nelle prime il paziente ha necessità di essere ricoverato da uno a tre giorni, cui seguiranno due giorni di convalescenza.

Cosa differenzia Villa Donatello dalle altre strutture sanitarie
nel trattamento dell’Ipertrofia prostatica benigna?

Villa Donatello è l’unica struttura in Italia dove sono presenti tutte le tecnologie esistenti per trattare l’ipertrofia prostatica benigna; inoltre qui è possibile trovare un team di chirurghi ed urologi esperti in ogni metodica per curare questa patologia, garantendo così massimi livelli di professionalità e consulenza.

In particolare ci tengo a citare i colleghi che lavorano direttamente insieme a me nel gruppo di lavoro associato che abbiamo costituito: Matteo Salvi, Francesco Sessa e Agostino Tuccio.

Ci sono pazienti che in base alla propria condizione devono essere trattati con una o con l’altra metodica: a Villa Donatello riusciamo a curare tutti i casi, nessuno viene mandato in qualche altra clinica né viene trattato con una metodica sbagliata, cosa che purtroppo può accadere quando in una struttura è disponibile una singola o doppia tecnologia.

Inoltre, Villa Donatello offre un percorso che accompagna il paziente dalla diagnosi alla completa guarigione in cui si intersecano diverse figure professionali ed è un percorso estremamente standardizzato che funziona.

Oltre agli aspetti che riguardano l’intervento chirurgico in sé, è importante sottolineare che l’inquadramento diagnostico pre-operatorio, fondamentale nel percorso che porterà alla guarigione, viene fatto con tecnologie all’avanguardia.

Da chi è composta l’equipe e come viene organizzato il lavoro?

A Villa Donatello abbiamo costituito l’equipe con un approccio moderno, inserendo le eccellenze di ogni singola metodica: si tratta dei migliori professionisti per il trattamento dell’ipertrofia prostatica a 360°; nel team siamo tutti intercambiabili sulle varie metodiche, ma ognuno di noi si è specializzato su una di queste.

Lavorando in equipe, siamo sempre presenti contestualmente in sala operatoria: abbiamo così la possibilità di intercambiarci e di consigliarci, anche fisicamente, sulla scelta della procedura prima di intervenire.

La multidisciplinarietà è ormai presente anche nella singola specializzazione proprio per la presenza di così tanta specificità, tecnologia, variabilità del paziente. È un approccio che per noi è vincente, dà la massima garanzia di soddisfazione per il paziente e in termini di sicurezza sicuramente è la miglior qualità che ad oggi possiamo offrire.


 

una coppia mano nella mano seduta a pruna di una barca a vela

Come si preserva l’eiaculazione in caso di intervento per ipertrofia prostatica?

Come si preserva l’eiaculazione in caso di intervento
per ipertrofia prostatica?

Il Sistema urinario: problemi e soluzioni – 11° parte

Le tecniche enucleo-resettive tradizionali, aperte o mini invasive con ansa diatermica o laser, costituiscono il pilastro del trattamento chirurgico per l’ostruzione prostatica benigna sintomatica.

Anche se questi approcci hanno un’efficacia ben documentata per quanto riguarda il sollievo dei sintomi urinari, possono essere associati tuttavia a effetti collaterali sessuali rilevanti.

La disfunzione erettile e, più frequentemente, la disfunzione eiaculatoria sotto forma di eiaculazione retrograda sono disturbi post-operatori comuni con impatto negativo sulla qualità di vita del paziente.

In considerazione dell’aumento dell’età media e del benessere psico-fisico a 360 gradi della popolazione maschile, assume sempre maggior rilevanza la conservazione della funzione sessuale e quindi le alternative chirurgiche mini invasive sexual sparing stanno guadagnando popolarità. Preservare la funzione sessuale è infatti prioritario tra i pazienti che si sottopongono a interventi chirurgici prostatici, soprattutto per gli uomini più giovani.

Negli anni è stato riportato che le tradizionali resezioni e incisioni prostatiche (TURP e TUIP) sono associate a un tasso considerevole di eiaculazione retrograda fino al 65% e 18% rispettivamente, nonché a un tasso di deficit erettile del 6,5%, a prescindere dalla quantità di tessuto asportato.

Recenti studi randomizzati hanno confrontato l’enucleazione della prostata con laser a olmio (HoLEP) con la TURP e i tassi di eiaculazione retrograda sono risultati comparabili anche se l’enucleazione con laser ad Olmio sembra migliorare la funzione sessuale in un sottogruppo di pazienti.

Recentemente però sono state descritte modifiche che risparmiano la funzione eiaculatoria per la TURP, la HoLEP e la vaporizzazione. Da un punto di vista chirurgico, queste tecniche comportano il risparmio e la conservazione del tessuto in prossimità dei dotti eiaculatori prostatici con tassi di conservazione dell’eiaculazione fino al 85% per le tecniche di vaporizzazione, senza impattare negativamente sui risultati funzionali urinari.

Negli ultimi anni, per far fronte alla sempre maggior necessità di utilizzare tecniche sexual sparing, sono emerse molteplici alternative minimamente invasive che mirano a preservare la funzione sessuale e a migliorare i disturbi urinari, preservando quindi la qualità di vita maschile in toto. Tra queste l’ablazione a getto d’acqua robotica guidata dall’immagine della prostata (Aquablation) ha riportato miglioramenti rilevanti per quanto riguarda la conservazione della funzione sessuale.

La terapia di aquablazione è una procedura unica nel suo genere. È l’unica procedura, infatti, che utilizza un getto d’acqua senza calore controllato dalla tecnologia robotica per rimuovere il tessuto prostatico senza danno sui tessuti limitrofi in particolare alle strutture nervose e ghiandolari necessarie per la corretta funzione sessuale. Inoltre, è l’unica procedura che combina la visione endoscopica con l’imaging a ultrasuoni, con conseguente maggior precisione chirurgica. Il risultato è quindi preciso, coerente, prevedibile e a lungo termine, indipendentemente dalle dimensioni della prostata.

Negli studi clinici, gli uomini che si sono sottoposti alla terapia di Aquablation hanno avuto un tasso molto basso di complicazioni irreversibili come incontinenza, disfunzione eiaculatoria, disfunzione erettile, a fronte di un miglioramento efficace, sicuro e a lungo termine della funzione urinaria.

Articolo a cura del Dott. Andrea Cocci e del Dott. Gianmartin Cito

 

un uomo e una donna sereni abbracciati nel letto

Protesi peniene per la disfunzione erettile resistente a terapia medica

Protesi peniene per la
disfunzione erettile resistente a terapia medica

Il Sistema urinario: problemi e soluzioni – 4° parte

Tutti i pazienti affetti da disfunzione erettile che non abbiano ottenuto una risposta efficace con l’utilizzo di farmaci per uso orale (iPDE5), iniettati per via intracavernosa (alprostadil) o che abbiano una controindicazione assoluta all’assunzione di detti farmaci o che, ancora, non vogliano ricorrere a terapie medico- fisiche (anche tipo vacuum device, Li-ESWT), possono essere indirizzati alla chirurgia implantologica peniena come soluzione terapeutica più appropriata.

Ad oggi, esistono differenti tipi di protesi peniene, distinte in due categorie principali: idrauliche e non idrauliche.

Le prime (idrauliche) a loro volta comprendono i modelli bicomponenti e tricomponenti. Le seconde (non idrauliche) includono le protesi malleabili monocomponenti o semirigide.

La scelta del tipo di dispositivo viene concordata dallo specialista andrologo con il paziente tenendo conto di diversi fattori come:

  • aspettative del paziente
  • età
  • compliance del paziente (accettazione ed abilità del paziente all’attivazione del dispositivo)
  • coinvolgimento della partner
  • severità della disfunzione erettile
  • malformazioni del pene eventualmente associate
  • condizioni generali (malattie associate quali diabete, ipertensione, neoplasia e cardiopatia)

Tuttavia, in entrambi i casi, vi sono dei cilindri di silicone o altro materiale biocompatibile, cavi, che vengono inseriti all’interno dei corpi cavernosi del pene. Tali cilindri sono a loro volta collegati attraverso dei piccoli tubi di raccordo a un piccolo serbatoio che contiene dell’acqua sterile necessaria a riempire gli stessi, che viene posizionato nello spazio perivescicale (nel caso dei modelli tricomponenti) o viene allocato nello scroto. In caso di protesi tricomponenti, una pompa di attivazione viene poi posizionata nello scroto per il trasferimento del liquido di gonfiaggio dal serbatoio ai cilindri nei corpi cavernosi stessi. I cilindri, la pompa e il serbatoio sono tra loro connessi mediante sottili tubi di raccordo.

La protesi idraulica bicomponente, a differenza di quella tricomponente, è composta da cilindri connessi con tubi di raccordo alla pompa che funge anche da serbatoio. La protesi pertanto si caratterizza per un maggiore ingombro volumetrico della pompa, per una minore capacità di riempimento e distensione dei corpi cavernosi e per una minore rigidità.

Le protesi non idrauliche consistono invece in una coppia di cilindri di vario materiale che, a seconda della loro consistenza e diversa rigidità possono distinguersi in malleabili e soffici; mentre le prime, di maggiore consistenza, conferiscono una sorta di rigidità permanente al pene, che non si modifica in caso di stimolo sessuale, i modelli soffici sono composti da silicone morbido che consente al pene, seppur disteso, di assumere a riposo una posizione più naturale.
L’effetto estetico sarà dunque diverso rispetto alla protesi idraulica in quanto il pene è costantemente in uno stato di semi-erezione.

La procedura chirurgica viene condotta in anestesia generale e/o periferica e prevede il posizionamento di un catetere vescicale. L’accesso chirurgico è unico peno-scrotale oppure o infra-pubico, poco al di sopra della radice del pene. Si esegue dunque un’incisione dei corpi cavernosi ed una dilatazione di essi con l’utilizzo di dilatatori progressivi, per consentire di posizionare i due cilindri espansibili a livello dei corpi cavernosi del pene. Successivamente si procede alla preparazione dello spazio scrotale per l’inserimento della pompa. Il serbatoio viene poi posizionato nello spazio a lato della vescica extraperitoneale utilizzando sempre la stessa incisione peno scrotale. In caso di impossibilità a posizionare il serbatoio in tale spazio, verrà posizionato in una sede diversa, direttamente nel peritoneo (intraperitoneale) praticando un’incisione nella parte inferiore della parete addominale oppure in sede retroperitoneale.

Il limite principale delle protesi idrauliche è rappresentato dal costo e dalla necessità di una seppur minima destrezza manuale necessaria per l’attivazione e la disattivazione dei cilindri. Il risultato estetico e funzionale è però garantito.

Questo tipo di chirurgia, tuttavia, non è scevra da possibili complicanze, anche se attualmente esse sono un’evenienza rara che si presenta in meno del 5% dei casi.
Le possibili complicanze includono:

  • ematoma peno-scrotale
  • infezione
  • lesione dell’uretra
  • perforazione dei corpi cavernosi
  • rigetto della protesi
  • necrosi del glande
  • possibili deformità peniene o incurvamento del glande
  • dolore scrotale
  • ridotta sensibilità del glande
  • malfunzionamento del sistema protesico (possibile estrusione della pompa scrotale).

L’intervento solitamente ha una durata massima di 2 ore. Il catetere vescicale viene posizionato per 24-48 ore e talvolta può essere necessario un piccolo drenaggio scrotale. Il tempo di ospedalizzazione è solitamente di 2 giorni. L’unico segno visibile dell’impianto protesico penieno è una piccola cicatrice (3-4 cm), in corrispondenza dell’angolo peno-scrotale o a livello sovra-pubico, di cui con il passare del tempo non rimane alcuna traccia.

Il grado di soddisfazione dei pazienti che hanno subito l’intervento è in genere molto elevato.

Un semplicissimo meccanismo manuale procura dunque un’erezione sovrapponibile a quella naturale con soddisfazione completa di entrambi i partner, permettendo quindi al maschio di raggiungere l’orgasmo e l’eiaculazione come se vi fosse un’erezione naturale.

Articolo a cura del Dott. Andrea Cocci e del Dott. Gianmartin Cito

 

schema di funzionamento delle onde d'urto

Onde d’urto per la cura della disfunzione erettile

Onde d’urto per la cura della disfunzione erettile

Il Sistema urinario: problemi e soluzioni – 3° parte

La terapia extracorporea ad onde d’urto (Li-ESWT) per il trattamento della disfunzione erettile rappresenta un tipo di trattamento innovativo finalizzato a determinare la rigenerazione del tessuto vascolare a livello penieno. Infatti, alla base del meccanismo fisiopatologico del trattamento, vi è la capacità delle onde d’urto di stimolare la formazione di nuovi vasi sanguigni (processo di neo-angiogenesi), andando dunque ad incrementare il flusso sanguigno a livello del pene e di conseguenza a migliorare la sua capacità erettiva.

Le onde d’urto sono onde acustiche udibili e ad alta energia, che vengono impiegate con successo ormai da diversi anni nel campo medico in diversi ambiti per trattare numerose malattie, come ad esempio nella terapia antalgica. Esse agiscono generando un impulso di pressione che dunque trasporta energia quando si propagano attraverso un elemento. Quando le onde d’urto vengono applicate ad un organo, le onde focalizzate interagiscono con i tessuti profondi prescelti e agiscono come forze micromeccaniche transitorie che inducono cambiamenti biologici nelle cellule.

Il trattamento con onde d’urto induce una risposta pro-infiammatoria nei tessuti dove le onde vengono applicate. L’organismo reagisce incrementando la circolazione sanguigna e il metabolismo nell’area d’impatto, che a loro volta accelerano il processo di guarigione.

La terapia extracorporea a onde d’urto è ormai utilizzata dal 2010 anche per trattare la disfunzione erettile su base vascolare, aumentando quindi l’afflusso di sangue a livello del pene e consentendo dunque di ottenere erezioni più vigorose. È stato dimostrato infatti che la terapia con onde d’urto induce la riparazione della muscolatura liscia del pene, migliorando quindi il meccanismo veno-occlusivo. Inoltre, la terapia con onde d’urto in combinazione ad altre opzioni terapeutiche di prima o seconda linea (PDE5-i, alprostadil), ne può migliorare e potenziare i risultati.

Il trattamento in caso di disfunzione erettile prevede che il pene sia sottoposto a dei piccoli impulsi di onde d’urto a bassa intensità in vari punti. Le onde vengono trasmesse a quest’ultimo con un apposito apparecchio terapeutico per poi sprigionare il loro effetto. La terapia prevede più di una sessione e può essere ripetuta più di una volta, se necessario. Il trattamento non è invasivo, non presenta complicazioni e non richiede alcun tipo di anestesia.

Una seduta di trattamento dura generalmente circa 15 minuti. In media, a seconda della gravità e della risposta alla terapia, sono necessarie tra 6 e 10 sedute terapeutiche.

Sarà comunque lo specialista andrologo a valutare se il problema erettile può essere curato e trattato con le onde d’urto a bassa intensità (Li-ESWT).

In ogni modo, è importante una valutazione diagnostica completa prima di porre indicazione al trattamento anche al fine di determinare il protocollo terapeutico ottimale.

I risultati della terapia con onde d’urto possono essere permanenti come dimostrato da alcune evidenze scientifiche pubblicate in letteratura. Tuttavia, ricordiamo che la disfunzione erettile è anche influenzata dallo stile di vita del paziente. Pertanto, i miglioramenti determinati dalla terapia con onde d’urto potrebbero subire un’inversione nel corso del tempo se non vengono comunque risolte le problematiche alla base del disturbo.

Articolo a cura del Dott. Andrea Cocci e del Dott. Gianmartin Cito

(Leggi la prima parte qui e la seconda parte qui)


un ragazzo e una ragazza sorridono

Cos’é la disfunzione erettile?

Cos’é la disfunzione erettile?

Il Sistema urinario: problemi e soluzioni – 1° parte

Per disfunzione erettile (DE) intendiamo la ricorrente o persistente incapacità ad ottenere e/o mantenere un’erezione valida tale da consentire rapporti sessuali soddisfacenti per entrambi i partner.La disfunzione erettile rappresenta una patologia di rilevante impatto sociale: si calcola infatti che, in Italia, il 13% degli uomini, ossia circa 3 milioni, siano affetti almeno in parte da questa condizione. Altre ricerche internazionali, condotte su gruppi più ampi di popolazione hanno rilevato in oltre il 50% dei casi presenza di disfunzione erettile, se si includono anche le forme lievi-moderate.

L’incidenza di tale problematica aumenta con l’avanzare dell’età, passando progressivamente dall’ 1,7% nei pazienti di età inferiore ai 50 anni al 48,3% nei pazienti di età maggiore di 70 anni; in alcuni sottogruppi di pazienti come i fumatori ed i diabetici queste percentuali aumentano esponenzialmente in quanto aumentano i fattori di rischio che possono essere strettamente correlati all’insorgenza del disturbo.

Dal punto di vista eziopatologico, almeno il 70% dei casi di disfunzione erettile dipende da cause di origine organica. Sicuramente un ruolo molto importante è svolto da stili di vita inadeguati (come l’obesità, la vita sedentaria, il fumo), condizioni metaboliche (come il diabete e l’ipercolesterolemia), l’assunzione cronica di diversi farmaci (per esempio i beta-bloccanti per il controllo dell’ipertensione) o le conseguenze di diverse procedure chirurgiche.

È molto importante sottolineare come talvolta l’insorgenza improvvisa di disfunzione erettile possa costituire un campanello d’allarme per la salute generale dell’uomo in quanto, ad esempio avendo essa un’origine vascolare, può rappresentare un precoce esordio di angiosclerosi che può antecedere un episodio di ischemia maggiore, in sede coronarica (infarto ) o carotidea (ischemia cerebrale). La disfunzione erettile, altrettanto, potrebbe essere sintomo di esordio della microangiopatia diabetica.

Complessivamente, la disfunzione erettile può essere dovuta a diverse possibili cause: fattori vascolari (DE arteriogenica o venogenica), neurologici, iatrogeni, ormonali e/o psicologici.

Negli anni ’60 questo disturbo veniva considerato nel 90% dei casi a genesi psicologica e soltanto il 10% riconosceva una causa organica o fisica. Con il passare del tempo, sia per una maggiore incidenza dei fattori di rischio sopracitati sia per una migliore capacità diagnostica in tale ambito, le percentuali si sono quasi invertite. Tuttavia, molto spesso una componente psicologica, primitiva o secondaria, si associa sempre ad una problematica fisica nel campo erettivo. Basta infatti pensare allo stress, all’ansia da prestazione che possono contribuire a causare o accentuare una disfunzione erettiva.

È fondamentale, prima di eseguire le indagini diagnostiche per la disfunzione erettile, individuare possibili fattori di rischio (abitudini di vita, uso di droghe, presenza di malattie croniche, assunzione di farmaci, interventi chirurgici precedenti) o di rilevanti componenti psicologiche o relazionali tali da richiedere ad esempio una valutazione specialistica sessuologica.

L’anamnesi sessuologica permette di approfondire le relazioni affettive e sessuali del paziente, lo stile emotivo con cui egli affronta la tensione e l’ansia. È rilevante sapere se il paziente ha una storia affettiva, se questa è stabile e se in particolare, nell’eventuale coppia, c’è conflittualità: una richiesta di prestazione sessuale a tutti i costi o una non comprensione da parte del/della partner sono fattori scoraggianti per un uomo con problemi sessuali.

Le informazioni sulla partner inoltre ci permettono un inquadramento più completo: età, menopausa, assunzione di terapia estroprogestinica sostitutiva, assunzione di contraccettivi orali, stato di salute (eventuali interventi chirurgici o patologie che compromettono l’attività sessuale), modificazioni della libido. Informazioni relative al lavoro, in particolare eventuali problemi legati a esso (scarsa gratificazione, impegni pressanti, tensione con i colleghi), sono motivi che permettono di capire se c’è una parte intra-psichica all’ origine del disturbo.

L’esame obiettivo andrologico rappresenta un punto chiave nella valutazione del paziente con disfunzione erettile. L’esame obiettivo generale serve a escludere un quadro di franco ipogonadismo (riduzione patologica del volume testicolare), a rilevare problemi vascolari (aumentati valori pressori, alterazione dei polsi periferici) o metabolici (fimosi come segno di diabete mellito misconosciuto), oltre che ad escludere problemi neurologici di rilievo e presenza di placche peniene.

Successivamente verrà esaminata l’eventuale esistenza di patologie prostatiche (ad esempio prostatiti). Inoltre, la valutazione della prostata mediante esplorazione rettale costituisce un esame essenziale, in quanto le dimensioni prostatiche rappresentano un indice importante di androgenizzazione a tutte le età.

Per quanto riguarda la diagnostica di laboratorio è molto importante lo studio del quadro ormonale con dosaggio di: testosterone totale, prolattina, glicemia, trigliceridi, colesterolo, PSA (antigene prostatico specifico) plasmatico nei pazienti di età superiore ai 50 anni.

Attualmente, tra gli esami di secondo livello, l’Eco-Color-Doppler penieno dinamico farmaco-indotto è considerato il gold standard per porre diagnosi di conferma di disfunzione erettile su base vasculogenica, adeguato per la valutazione dell’integrità vascolare del pene. Si tratta di uno studio dinamico, ossia funzionale, eseguito in condizioni di base (pene in detumescenza) e dopo stimolazione con farmaci (sostanze vaso-attivo a dosaggio standardizzato) iniettati all’interno dei corpi cavernosi del pene, al fine di studiare l’afflusso ed il deflusso del sangue in condizione di erezione.

Inoltre, un altro possibile esame da eseguire è l’erettometria notturna che si avvale di uno strumento in grado di monitorare le erezioni spontanee durante le ore notturne. Attraverso i tracciati è poi possibile risalire alla qualità e al numero degli episodi erettili che si sono verificati durante il sonno. Infatti una disfunzione erettiva su base psicologica non dovrebbe compromettere la qualità e quantità delle erezioni spontanea durante la notte.

Articolo a cura del Dott. Andrea Cocci e del Dott. Gianmartin Cito

(Leggi la seconda parte qui e la terza parte qui)