un ragazzo e una ragazza sorridono

Cos’é la disfunzione erettile?

Cos’é la disfunzione erettile?

Il Sistema urinario: problemi e soluzioni – 1° parte

Per disfunzione erettile (DE) intendiamo la ricorrente o persistente incapacità ad ottenere e/o mantenere un’erezione valida tale da consentire rapporti sessuali soddisfacenti per entrambi i partner.La disfunzione erettile rappresenta una patologia di rilevante impatto sociale: si calcola infatti che, in Italia, il 13% degli uomini, ossia circa 3 milioni, siano affetti almeno in parte da questa condizione. Altre ricerche internazionali, condotte su gruppi più ampi di popolazione hanno rilevato in oltre il 50% dei casi presenza di disfunzione erettile, se si includono anche le forme lievi-moderate.

L’incidenza di tale problematica aumenta con l’avanzare dell’età, passando progressivamente dall’ 1,7% nei pazienti di età inferiore ai 50 anni al 48,3% nei pazienti di età maggiore di 70 anni; in alcuni sottogruppi di pazienti come i fumatori ed i diabetici queste percentuali aumentano esponenzialmente in quanto aumentano i fattori di rischio che possono essere strettamente correlati all’insorgenza del disturbo.

Dal punto di vista eziopatologico, almeno il 70% dei casi di disfunzione erettile dipende da cause di origine organica. Sicuramente un ruolo molto importante è svolto da stili di vita inadeguati (come l’obesità, la vita sedentaria, il fumo), condizioni metaboliche (come il diabete e l’ipercolesterolemia), l’assunzione cronica di diversi farmaci (per esempio i beta-bloccanti per il controllo dell’ipertensione) o le conseguenze di diverse procedure chirurgiche.

È molto importante sottolineare come talvolta l’insorgenza improvvisa di disfunzione erettile possa costituire un campanello d’allarme per la salute generale dell’uomo in quanto, ad esempio avendo essa un’origine vascolare, può rappresentare un precoce esordio di angiosclerosi che può antecedere un episodio di ischemia maggiore, in sede coronarica (infarto ) o carotidea (ischemia cerebrale). La disfunzione erettile, altrettanto, potrebbe essere sintomo di esordio della microangiopatia diabetica.

Complessivamente, la disfunzione erettile può essere dovuta a diverse possibili cause: fattori vascolari (DE arteriogenica o venogenica), neurologici, iatrogeni, ormonali e/o psicologici.

Negli anni ’60 questo disturbo veniva considerato nel 90% dei casi a genesi psicologica e soltanto il 10% riconosceva una causa organica o fisica. Con il passare del tempo, sia per una maggiore incidenza dei fattori di rischio sopracitati sia per una migliore capacità diagnostica in tale ambito, le percentuali si sono quasi invertite. Tuttavia, molto spesso una componente psicologica, primitiva o secondaria, si associa sempre ad una problematica fisica nel campo erettivo. Basta infatti pensare allo stress, all’ansia da prestazione che possono contribuire a causare o accentuare una disfunzione erettiva.

È fondamentale, prima di eseguire le indagini diagnostiche per la disfunzione erettile, individuare possibili fattori di rischio (abitudini di vita, uso di droghe, presenza di malattie croniche, assunzione di farmaci, interventi chirurgici precedenti) o di rilevanti componenti psicologiche o relazionali tali da richiedere ad esempio una valutazione specialistica sessuologica.

L’anamnesi sessuologica permette di approfondire le relazioni affettive e sessuali del paziente, lo stile emotivo con cui egli affronta la tensione e l’ansia. È rilevante sapere se il paziente ha una storia affettiva, se questa è stabile e se in particolare, nell’eventuale coppia, c’è conflittualità: una richiesta di prestazione sessuale a tutti i costi o una non comprensione da parte del/della partner sono fattori scoraggianti per un uomo con problemi sessuali.

Le informazioni sulla partner inoltre ci permettono un inquadramento più completo: età, menopausa, assunzione di terapia estroprogestinica sostitutiva, assunzione di contraccettivi orali, stato di salute (eventuali interventi chirurgici o patologie che compromettono l’attività sessuale), modificazioni della libido. Informazioni relative al lavoro, in particolare eventuali problemi legati a esso (scarsa gratificazione, impegni pressanti, tensione con i colleghi), sono motivi che permettono di capire se c’è una parte intra-psichica all’ origine del disturbo.

L’esame obiettivo andrologico rappresenta un punto chiave nella valutazione del paziente con disfunzione erettile. L’esame obiettivo generale serve a escludere un quadro di franco ipogonadismo (riduzione patologica del volume testicolare), a rilevare problemi vascolari (aumentati valori pressori, alterazione dei polsi periferici) o metabolici (fimosi come segno di diabete mellito misconosciuto), oltre che ad escludere problemi neurologici di rilievo e presenza di placche peniene.

Successivamente verrà esaminata l’eventuale esistenza di patologie prostatiche (ad esempio prostatiti). Inoltre, la valutazione della prostata mediante esplorazione rettale costituisce un esame essenziale, in quanto le dimensioni prostatiche rappresentano un indice importante di androgenizzazione a tutte le età.

Per quanto riguarda la diagnostica di laboratorio è molto importante lo studio del quadro ormonale con dosaggio di: testosterone totale, prolattina, glicemia, trigliceridi, colesterolo, PSA (antigene prostatico specifico) plasmatico nei pazienti di età superiore ai 50 anni.

Attualmente, tra gli esami di secondo livello, l’Eco-Color-Doppler penieno dinamico farmaco-indotto è considerato il gold standard per porre diagnosi di conferma di disfunzione erettile su base vasculogenica, adeguato per la valutazione dell’integrità vascolare del pene. Si tratta di uno studio dinamico, ossia funzionale, eseguito in condizioni di base (pene in detumescenza) e dopo stimolazione con farmaci (sostanze vaso-attivo a dosaggio standardizzato) iniettati all’interno dei corpi cavernosi del pene, al fine di studiare l’afflusso ed il deflusso del sangue in condizione di erezione.

Inoltre, un altro possibile esame da eseguire è l’erettometria notturna che si avvale di uno strumento in grado di monitorare le erezioni spontanee durante le ore notturne. Attraverso i tracciati è poi possibile risalire alla qualità e al numero degli episodi erettili che si sono verificati durante il sonno. Infatti una disfunzione erettiva su base psicologica non dovrebbe compromettere la qualità e quantità delle erezioni spontanea durante la notte.

Articolo a cura del Dott. Andrea Cocci e del Dott. Gianmartin Cito

(Leggi la seconda parte qui e la terza parte qui)

una ragazza stringe a se un cuscino

Recuperare il sonno perduto durante il weekend? Non basta ed è sbagliato!

Recuperare il sonno perduto durante il weekend? Non basta ed è sbagliato!

Molte persone, soprattutto quelle che hanno una vita piena di impegni e di situazioni stressanti, cercano di recuperare il sonno perduto durante il fine settimana. Un team di ricercatori francesi che si occupa di disturbi del sonno ci avverte però che, passati il Sabato e la Domenica dormendo di più nel tentativo di recuperare dalla stanchezza, queste persone scopriranno di essere ancora a corto di forze.

La nostra ricerca si è concentrata nello specifico sugli adulti che nei giorni feriali dormono regolarmente solo sei ore o meno – che è molto meno delle 7/8 ore a notte di cui la maggior parte delle persone hanno bisogno – dichiara Dr. Damien Leger, autore principale dello studio.

Su ben 12.000 pazienti analizzati, quelli che sono risultati dormire meno di quanto consigliato sono oltre un terzo del totale, mentre quasi un quarto del campione ha accusato di vivere in debito di sonno, prevalentemente accumulato durante la settimana lavorativa: stiamo parlando di una media di 90 minuti di sonno in meno rispetto  alla quantità di cui avrebbero avuto realmente bisogno.

La nostra indagine mostra che circa il 75% delle persone con debiti di sonno non ha trovato il modo di dormire di più nel fine settimana o facendo qualche pisolino nei giorni di lavoro – aggiunge il Dr. Leger – Il motivo spesso è banale: probabilmente non hanno pensato a farlo o non avevano le condizioni per dormire, come un ambiente rumoroso, lo stress o i bambini a casa. Quindi, il loro debito di sonno non viene recuperato.

Lo studio evidenzia come soltanto il 18% degli uomini e delle donne che soffrono di gravi carenze di sonno sono stati in grado di dormire abbastanza per compensare le carenze croniche di sonno cumulate nei giorni feriali. Gli uomini misurano il dato peggiore: solo il 15% è riuscito a bilanciare il sonno con un recupero nel fine settimana.

Si tratta di un problema molto serio che probabilmente colpisce milioni di persone – afferma il Dr. Leger – Circa un terzo degli adulti ha una carenza quotidiana di sonno: un fenomeno comune prevalentemente nei paesi occidentali, ancora più evidente nelle aree urbane.

Quali sono i principali fattori di disturbo del sonno?

La ricerca mette in evidenza

  • il lavoro notturno
  • il lavoro a turni,
  • i lunghi spostamenti tra il posto di lavoro e la casa
  • l’eccessivo attaccamento alla tecnologia, come l’uso di smartphone e computer anche in ora tarda

La preoccupazione dei ricercatori coinvolti è che, nel tempo, il debito di sonno possa tradursi in una vasta gamma di problemi di salute tra cui l’obesità, il diabete di tipo 2, le malattie cardiache, la depressione e le lesioni accidentali: si tratta di un vero e proprio problema di salute pubblica.

La mancanza di sonno è una forma potente di stress per il nostro organismo che potenzialmente è in grado di produrre effetti sul nostro DNA, sulle cellule, sugli organi, così come influire pesantemente sulle nostre prestazioni sul lavoro o durante l’esercizio fisico.

Un problema senza un semplice rimedio

Il problema che stiamo evidenziando non è risolvibile con facili ricette. In generale il buon senso è fondamentale – aggiunge Adam Krause, un ricercatore in scienze cognitive per l’Università di Berkeley, California – Dovremmo gestire il fenomeno come ormai siamo abituati a fare quando adottiamo una dieta sana ed equilibrata: è meglio mangiare sano per due giorni a settimana che non mangiare affatto, ma mangiare sano due giorni a settimana non inverte i danni causati da una cattiva alimentazione per i restanti cinque giorni. La migliore dieta del sonno è una dieta sufficiente e coerente – conclude il Prof. Krause.

Dormire di più nei fine settimana è un buon inizio – conferma il Dr Nathaniel Watson, professore di neurologia presso la Washington Medicine Sleep Center di Seattle – Ma di solito solo un giorno o due di sonno prolungato non risolvono dovutamente i problemi derivati dalla privazione del sonno cronica e abituale.

Il suo consiglio, meno banale di quanto possa apparire, è quello di

Andare a letto quando si è stanchi e svegliarsi quando si è riposati, e ripetere questa routine per due o tre settimane di seguito: questo è uno dei metodi possibili per ripagare un debito di sonno.

Lo studio di Leger e dei suoi colleghi è stato recentemente pubblicato online sulla rivista scientifica Sleep Medicine.


 

Un piatto di patatine fritte appoggiato su un tavolo di legno scuro

Quali sono le cause dell’obesità e quando una persona può dirsi obesa?

Quali sono le cause dell’obesità?

Quando una persona può dirsi obesa?

L’obesità è una condizione che incorre quando una persona è in eccesso di peso o ha una massa grassa così abbondante da mettere a rischio la propria salute.

I medici normalmete si avvalgono dell’Indice di massa corporea (BMI), che è uno strumento molto semplice per valutare se una persona ha un peso appropriato per la sua età, per il sesso e l’altezza. In buona sostaanza si tratta di un’analisi della combinazione tra altezza e peso: un BMI tra 25 e 29,9 indica che una persona è in eccesso di peso; un BMI maggiore di 30 suggerisce che una persona possa essere in condizione di obesità.

L’obesità, va ricordato, può aumentare il rischio di sviluppare una serie di condizioni di salute tra cui la sindrome metabolica, l’artrite e alcuni tipi di cancro.

La sindrome metabolica comprende una serie di problemi come l’ipertensione, il diabete di tipo 2 e le malattie cardiovascolari.

Mantenere un peso sano o perderlo grazie alla dieta e l’esercizio fisico, è un modo per prevenire o ridurre l’obesità. In alcuni casi non è da escludere la necessità di un intervento chirurgico.

Quali sono le principali cause dell’obesità?

un hamburger

1) Eccessivo consumo di calorie

Quando consumiamo più calorie di quante ne servano al nostro organismo per essere trasformate in energia, il nostro corpo le accumula sottoforma di grasso. Questo porta ad un eccesso di peso e probabilmente all’obesità.

Alcuni tipi di alimenti hanno maggiori probabilità di condurre ad un aumento di peso, specialmente quelli ad alto contenuto di grassi e zuccheri.

Tra gli alimenti che tendono ad aumentare il rischio di aumento di peso segnaliamo:

  • il cosiddetto Fast Food
  • i fritti
  • le carni grasse e processate
  • molti prodotti caseari
  • alimenti con zuccheri aggiunti come prodotti da forno, cereali per la colazione e biscotti
  • alimenti contenenti zuccheri nascosti come ketchup e molti altri in scatola e confezionati
  • succhi di frutta zuccherati, bibite e bevande alcoliche
  • alimenti lavorati ad alto contenuto di carboidrati come il pane

Consumare in eccesso questo tipo di cibi, soprattutto se in combinato ad una condizione di sedentarietà, può condurre un individuo alla condizione di obesità.

Si deve essere chiari anche su un’altra questione: persone che consumano una dieta composta principalmente a base di frutta, verdura, cereali integrali e acqua sono comunque a rischio di ingrassare se mangiano troppo o se intervengono fattori genetici che ne aumentano il rischio. Tuttavia è più probabile che esse godano di una dieta variata mantenendo un peso sano. I cibi freschi e i cereali integrali contengono fibre che fanno sentire una persona piena per più tempo e che favoriscono una sana digestione.

un uomo dorme sul divano abbracciato al suo cane

2) Condurre una vita sedentaria

  • Lavorare in ufficio invece che svolgere un lavoro manuale
  • Stare molte ore al computer o a guardare la televisione piuttosto che svolgere attività fisica
  • utilizzare esclusivamente l’auto per i propri spostamenti piuttosto che camminare o utilizzare una bicicletta

Meno ci muoviamo e meno saranno le calorie che consumeremo.

L’attività fisica è anche molto importante per regolare il comportamento degli ormoni i quali svolgono un ruolo molto importante su come il nostro organismo processa il cibo assunto.

L’attività fisica non richiede per forza un allenamento in palestra. Il lavoro fisico, camminare o andare in bicicletta, salire le scale e tutti i compiti domestici contribuiscono. Tuttavia sono la tipologia e l’intensità dell’attività ad influenzare il grado di beneficio a breve e a lungo termine per l’organismo.

una donna a letto che non riesce a dormire

3) Carenza di sonno

La carenza di sonno, ormai è accertato grazie ad una lunga serie di studi scientifici, può portare all’accumulo di peso corporeo e all’obesità perché può portare a cambiamenti ormonali che aumentano l’appetito.

Quando non dormiamo a sufficienza il nostro corpo produce la grelina: un ormone che stimola l’appetito. Contemporaneamente la mancanza di sonno determina anche una minore produzione di leptina, un ormone che invece sopprime l’appetito.

il corpo umano mostra il sistema endocrino

4) Sindrome metabolica e fruttosio

Gli scienziati credono che esista un legame tra l’alto consumo di fruttosio, l’obesità e la sindrome metabolica. Le autorità scientifiche hanno sollevato preoccupazioni circa l’uso di sciroppo di mais e altre sostanze ad alto contenuto di fruttosio per addolcire bevande e altri prodotti alimentari. I ricercatori osservano che l’assunzione di fruttosio in grandi quantità può essere un importante fattore predittivo del rischio metabolico soprattutto nei giovani.

Gli alimenti che contengono sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio includono:

  • bibite, bevande energetiche e bevande sportive
  • caramelle e gelati
  • creme al caffè
  • salse e condimenti tra cui condimenti per insalata, ketchup e salsa barbecue
  • cibi zuccherati come yogurt, succhi e cibi in scatola
  • pane e altri prodotti da forno già pronti
  • cereali per la colazione, barrette di cereali e barrette energetiche

Per ridurre l’assunzione di sciroppo di mais e altri additivi controllate sempre le etichette prima di acquistare, optate per articoli non dolcificati o meno elaborati, preparate direttamente voi i condimenti per le insalate e, più in generale, cuocete il più possibile in casa i vostri prodotti alimentari.

Alcuni alimenti contengono altri dolcificanti, che possono comunque sviluppare altre tipologie di effetti avversi.

pillole di varie forme e colori

5) Medicinali

Anche alcune tipologie di medicinali possono contribuire all’accumulo di peso.

  • antipsicotici tipici, specialmente olanzapina, quetiapina e risperidone
  • anticonvulsivanti e stabilizzatori dell’umore, in particolare il gabapentin
  • farmaci ipoglicemici come la tolbutamide
  • glucocorticoidi usati per trattare l’artrite reumatoide
  • alcuni antidepressivi

Alcuni farmaci, tuttavia, possono portare invece alla perdita di peso. Chiunque stia iniziando un nuovo trattamento ed è preoccupato per il suo peso dovrebbe chiedere al proprio medico se il farmaco può avere qualche effetto.

6) Fattore genetico

Un gene difettoso associato alla massa grassa e all’obesità è responsabile di alcuni casi di obesità. Uno studio pubblicato nel 2013 indica un collegamento tra questo gene e:

  • l’obesità
  • i comportamenti che portano all’obesità
  • una maggiore assunzione di cibo
  • una preferenza per i cibi ipercalorici
  • una ridotta capacità della sensazione di sazietà

Conclusioni

Molti fattori giocano un ruolo importante nello sviluppo della condizione di obesità. I tratti genetici possono aumentare il rischio in alcune persone.

Una dieta salutare che contenga abbondanza di cibo fresco e un regolare esercizio fisico ridurranno il rischio di obesità nella maggior parte delle persone. Tuttavia, gli individui che hanno una predisposizione genetica potrebbero trovare più difficile mantenere un peso sano.

Condividi la tua situazione personale con il tuo medico di famiglia e discutine, se serve, con un professionista in grado di accompagnarti in un percorso sanitario controllato e costruito sulla tua specifica realtà.

Testata del sito web Vivermeglio

La nostra Casa di cura, da tempo, mette a disposizione Vivermeglio: un programma dedicato ai corretti stili di vita che si giova dell’intervento multidisciplinare di varie tipologie di professionisti in grado di costruire con te e per te un percorso di cura adeguato e fornirti un punto di riferimento di continuità che spesso, da soli, non siamo in grado di portare avanti.


 

una serie di hamburger messi l'uno accanto all'altro e di dimensioni crescenti

L’Obesità può essere fattore di diffusione delle epidemie di influenza?

L’obesità può essere fattore di diffusione delle epidemie di influenza?

Uno studio della Michigan University affronta la questione

Una nuova ricerca, condotta dal Dr. Aubree Gordon e da altri ricercatori, pubblicata su The Journal of Infectious Diseases, affronta un ulteriore effetto negativo sulla salute pubblica veicolato dalla condizione di obesità.

L’obesità di per sè aumenta il rischio di gravi complicazioni da influenza, tra i quali la necessità di ricovero, indebolimento del sistema immunitario e altro per arrivare addirittura alla morte.

Quello che emerge nello studio da poco presentato, però, è che l’obesità potrebbe anche avere un ruolo nel modo in cui l’influenza si diffonde. I risultati suggeriscono che soggetti adulti obesi, infettati dall’influenza, fanno più fatica ad eliminare il virus dal proprio organismo rispetto agli adulti che non sono obesi, aumentando potenzialmente la possibilità che l’infezione si diffonda anche ad altre persone.

Abbiamo osservato la prima vera prova che l’obesità potrebbe avere un impatto non solo sulla gravità della malattia – dichiara il Dr. Aubree Gordon – ma anche sulla sua trasmissione.

Lo studio ha raccolto ed analizzato dati relativi a 1800 soggetti in Nicaragua, in un arco di tempo di tre anni, così da coprire ben tre stagioni epidemiche dell’influenza.

Adulti obesi, con sintomi influenzali e virus influenzali confermati in laboratorio, hanno impiegato una media del 42% del tempo in più per sconfiggere la malattia rispetto ad adulti non obesi. Tra le persone obese infette da influenza che erano solo lievemente malate o che non avevano sintomi, la differenza si è rivelata ancora maggiore: questi soggetti infatti sconfiggevano il virus dell’influenza A in un periodo di tempo del 104% più lungo degli altri.

La durata della diffusione virale è stata determinata mediante test su campioni che hanno rilevato la presenza di RNA del virus dell’influenza, ma non hanno indicato se i virus fossero contagiosi. Sono in corso adesso ulteriori ricerche volte a determinare se il virus dell’influenza, resistente per periodi più lunghi in individui obesi, è davvero infettivo e può diffondere la malattia ad altri.

Va rilevato inoltre che le differenze riscontrate nella durata della perdita virale riguardavano soltanto epidemie del virus dell’influenza A, soltanto uno dei due tipi di virus influenzali che possono causare epidemie nell’uomo. I ricercatori non hanno trovato alcuna associazione con l’obesità e la durata della diffusione del virus dell’influenza B, che in genere causa una malattia meno grave negli adulti e non causa pandemie. L’obesità inoltre non sembra influenzare la durata della diffusione virale tra i bambini inclusi nello studio.

L’obesità può alterare la risposta immunitaria del corpo e portare a infiammazione cronica – che aumenta con l’età – oltre a rendere più difficile la respirazione aumentando la necessità di ossigeno. Questi fattori possono aiutare a spiegare come l’obesità possa incidere sul rischio di influenza, la sua gravità e il potenziale di trasmissione.

Con i tassi di obesità in aumento in tutto il mondo le nuove scoperte, se supportate da studi futuri, suggeriscono che l’obesità possa svolgere un ruolo sempre più importante nella trasmissione dell’influenza. Questo porta a potenziali implicazioni sulla salute pubblica, incluse maggiori opportunità di diffusione dell’influenza in alcune popolazioni in particolare dove la capillarità di una sanità efficace è scarsa.

Risolvere la propria condizione di obesità è complicato, dipende da molti fattori alcuni legati a disfunzioni, altri ad un errato stile di vita, a tratti entrambi contemporaneamente. Per questa problematica e per altre ancora Villa Donatello ha da tempo messo in piedi il Percorso di Cura Vivermeglio, dove un team specializzato è in grado di costruire un percorso su misura con il paziente. Per ulteriori informazioni vi consigliamo di visitare l’apposito portale dedicato dove potrete scoprire perché è importante essere affiancato in un percorso di cura, come funziona il programma, chi lo realizza e dove troverete anche una sezione dedicata alle vostre domande più frequenti.


 

Due mani di donna tengono un metro da sarto per misurare la circonferenza di un addome maschile

Obesità: perché alcune persone hanno tessuto grasso “sano”?

Obesità: perché alcune persone hanno tessuto grasso “sano”?

Ce lo spiegano due ricerche dell’Università del Michigan

Un paradosso ricorrente nello studio sull’obesità emerge di fronte a una tipologia di persone sovrappeso che accumulano grasso ad un ritmo elevato e che vanno incontro ad alti rischi di insorgenza di patologie collegate, mentre altre persone, loro coetanee, riescono a conservare il grasso in modo più efficace.

Nel primo caso, quando il grasso si scioglie, molti degli acidi rilasciati dal tessuto adiposo (grasso corporeo) possono stabilirsi altrove e accumularsi a livelli nocivi in altri tessuti e organi, portando all’insulino-resistenza: un segno distintivo del diabete di tipo 2 e delle malattie cardiache.

Un paio di studi realizzati dall’Università del Michigan identificano caratteristiche chiave nel tessuto adiposo che possono consentire ad alcuni adulti obesi di conservare il grasso corporeo in modo più sano e suggerisce che l’esercizio aerobico può portare ad un accumulo di grasso meno pericoloso.

La maggior parte delle persone obese sviluppa resistenza all’insulina che può portare al diabete di tipo 2 e ad altre malattie croniche. Tuttavia, il team di ricerca americano ha scoperto che circa un terzo dei 30 adulti obesi partecipanti al loro studio non sviluppava insulino-resistenza.

Che cosa proteggeva queste persone?

Alcuni campioni di tessuto adiposo hanno rivelato che il gruppo più sano abbatteva il grasso a tassi più lenti, aveva meno proteine coinvolte nella disgregazione del grasso quanto piuttosto impegnate nella sua conservazione. Gli stessi soggetti avevano anche meno cellule fibrotiche nel tessuto adiposo; ciò consente ai tessuti di essere più flessibili e rende meno possibile l’attivazione di  percorsi infiammatori.

Sembra controintuitivo, ma se riusciamo a capire meglio come immagazzinare il grasso in modo più efficace e perché alcune persone sono più brave di altre nel farlo, forse possiamo progettare terapie e percorsi di prevenzione che miglioreranno alcune delle  condizioni metaboliche legate all’obesità – spiega il Prof. Jeffrey Horowitz, a capo del team di ricerca di uno dei due studi di cui stiamo parlando.

Esercizio regolare  e sedentarietà

Nel secondo studio i ricercatori hanno raccolto tessuto adiposo dopo una sessione di esercizio aerobico da due gruppi di persone in sovrappeso: un gruppo era composto da soggetti che si esercitavano regolarmente, l’altro gruppo no. Per entrambi i gruppi una sola sessione di esercizio ha scatenato segnali che hanno portato alla crescita di nuovi vasi sanguigni all’interno tessuto grasso.

I ricercatori hanno anche raccolto indicazioni sul fatto che gli atleti regolari avevano più vasi sanguigni nel tessuto grasso rispetto a quanto riscontrato nel gruppo dei sedentari. Questo è importante perché la salute della maggior parte dei tessuti dipende, in gran parte, dal flusso sanguigno e dai nutrienti che esso veicola.

Quando ingrassiamo le nostre cellule adipose si espandono, ma se il flusso di sangue nel tessuto grasso non aumenta in parallelo la zona coinvolta potrebbe diventare malsana o addirittura necrotica.

Horowitz ha sottolineato che i due studi sono rilevanti soprattutto per le persone obese a rischio di malattia metabolica ma che , tuttavia, si potrebbero trarre conclusioni utili per tutti.

Riteniamo che l’esercizio regolare che svolgiamo oggi possa creare un ambiente di accumulo di grassi più sano per quei periodi in cui mangiamo troppo e ingrassiamo

Presi insieme, gli studi supportano anche l’idea che i medici debbano ridefinire la loro visione del grasso, delle sue funzioni e delle dinamiche che lo regolano all’interno del nostro organismo, ha aggiunto il Prof. Horowitz.

Il tessuto adiposo è disprezzato perché la maggior parte delle persone lo vede come causa di malattia e obesità, ma in generale il tessuto adiposo non fa ingrassare le persone, ma ha principalmente il compito di immagazzinare la nostra energia extra quando mangiamo troppo.

I nostri studi non suggeriscono che sia sano essere obesi o mangiare troppo, ma quando si mangia troppo è importante avere un posto sicuro dove conservare quell’energia extra – prosegue.

Se osserviamo persone che accumulano la stessa quantità di grasso corporeo possiamo notare che quelle il cui organismo sa adattarsi per trattenere in maniera più sana il grasso in eccesso sono più protette dallo sviluppo di insulino-resistenza e malattie legate all’obesità. Attraverso queste ricerche – conclude il Professore – abbiamo identificato alcuni di questi adattamenti.

fonte: University of Michigan

 

Un bambino si tiene le mani davanti alla bocca mentre sta tossendo

10 malattie che molti credono scomparse ma che invece…

Le 10 malattie che molti credono scomparse ma che invece…

Alcune destano profonda preoccupazione,
essendo riapparse in zone del mondo dove non si erano più manifestate.

Di alcune malattie, quando ne sentiamo risuonare il nome, abbiamo come la certezza che siano un brutto ricordo del nostro passato. Di molte, addirittura, faremmo fatica a ricordare i sintomi e gli effetti. Quello che invece dovrebbe preoccuparci, in effetti, è che malgrado gli sviluppi della ricerca e della medicina non soltanto non sono davvero scomparse, ma in alcuni casi si stanno pericolosamente riaffacciando. Conoscerle – o ricordarle – potrebbe aiutare tutti ad assumere i giusti comportamenti affinché rimangano nell’oblio dove pensavamo fossero relegate per sempre. L’unica vittoria completa che è certificabile ad oggi è quella sul vaiolo, morbo che può dirsi definitivamente debellato.

Quali sono quindi le malattie che molti immaginano scomparse, ma che purtroppo rimangono in agguato o colpiscono ancora?


La Peste

Nel XIV Secolo la peste, chiamata anche La Morte Nera, sterminò circa il 60% della popolazione europea di allora.

La peste si diffonde attraverso pulci che vivono in simbiosi con roditori come ratti e scoiattoli, ma i vaccini e gli antibiotici hanno limitato la diffusione della malattia nel corso degli ultimi decenni.

Nei paesi sviluppati, oggi, la peste è rara. Malgrado questo negli Stati Uniti, per esempio, ogni anno si registrano da 2 a 10 casi: nell’anno in corso i casi verificati sono ben 16.

La malattia, tuttavia, è ancora particolarmente attiva e presente in altre zone del mondo, come l’Africa, il Sud America e l’Asia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara che ogni anno si verificano da 1.000 a 3.000 casi di peste a livello mondiale.

Le nazioni più colpite sono il Madagascar, il Perù e l’India.


immagine al microscopio del virus della rosolia

La Rosolia

Il virus della rosolia, come molti altri, colpisce prevalentemente in età pediatrica ma può anche essere passato ai bambini nel grembo materno da madri non vaccinate. In questo secondo caso si ha la Sindrome da Rosolia congenita che può causare la morte del feto o gravi invalidità del bambino durante la gravidanza.

Le vaccinazioni contro la rosolia sono diventate disponibili per la prima volta nel 1970 e hanno aiutato molti paesi sviluppati ad avvicinarsi all’eliminazione completa di questa patologia. Nel 2015, come conseguenza di una enorme campagna di vaccinazione durata oltre 15 anni, la rosolia è stata eliminata dai due continenti americani.

L’infezione purtroppo sopravvive in paesi con bassa copertura vaccinale, in particolare in Africa e nel sud-est asiatico.

Si stima che ogni anno, nel mondo, 110.000 bambini nascano con la sindrome della rosolia congenita.


La Lebbra

La lebbra è una malattia contagiosa causata da uno specifico batterio che si trasmette attraverso il contatto prolungato con altre persone infette. Provoca danni ai nervi e alle cellule della pelle e ha come spiacevole conseguenza l’insorgenza di ferite sfiguranti e disabilità permanenti.

Il primo passo avanti nel trattamento della lebbra si ebbe nel 1945 grazie al dapsone, un efficace antibatterico. I batteri responsabili dell’epidemia divennero però molto presto resistenti a questa cura. Fu soltanto a partire dagli anni ’70 che,  grazie a un complesso di medicinali, si riuscirono ad ottenere importanti successi sullo sviluppo della malattia.

Da allora il numero di casi di lebbra globale è diminuito significativamente dai 6-7 milioni di casi degli inizi degli anni ’80. Nel 2013, ad ogni modo, venivano censiti ancora 216.000 casi.

Questa terribile malattia miete ancora molte vittime, soprattutto in alcune zone dell’India, del Brasile e dell’Indonesia: paesi dove si concentra oltre l’80% di tutti i casi.


La Gotta

La gotta si manifesta sottoforma di importanti attacchi artritici causati dall’accumulo di acido urico – un sottoprodotto naturale della digestione – all’interno delle articolazioni. I sintomi principali sono dolore, gonfiore e arrossamento.

Identificata per la prima volta dagli egiziani, la Gotta una volta era conosciuta come la malattia dei re, a causa dei suoi legami con l’eccessivo consumo di cibo e alcol.

Il diffondersi di stili di vita non salutari e dell’obesità hanno causato drammatici aumenti di gotta nei paesi sviluppati: questa patologia oggi colpisce circa il 4% della popolazione adulta occidentale, con punte di quasi del 5% anche in paesi a noi vicini, come la Grecia.



La Pertosse

La pertosse è un’infezione trasmessa per via aerea che infiamma e porta al rigonfiamento delle vie respiratorie, provocando tosse intensa, con effetti particolarmente gravi per i bambini. Si tratta di un’infezione di tipo batterico molto contagiosa che a volte può durare anche per molte settimane.

Questa malattia è molto meno innocua di quello che molte persone credono: paragonata ad altre patologie ha, infatti, un’elevata mortalità, stimabile in circa due decessi ogni mille casi e riguardante soprattutto bambini nel primo anno di vita. La causa principale di questo elevato tasso di mortalità è da ascriversi al fatto che, molto spesso, alla pertosse si lega l’insorgenza di polmonite, che va a colpire in questo caso un organismo già abbondantemente indebolito.

Da non trascurare il fatto ulteriore che uno o due bambini su mille, tra quelli colpiti dalla pertosse, sviluppano un’encefalopatia grave che può provocare paralisi, ritardo mentale o altri disturbi di tipo neurologico.

Nel 2008, nel mondo, si stima che fossero circa 16 milioni i casi in circolazione, il 95% dei quali nei paesi in via di sviluppo.

La pertosse uccide ogni anno circa 195.000 bambini.


La Difterite

La difterite colpisce il naso e la gola, viene trasmessa dalla tosse o dagli starnuti e conduce alla morte tra il 5 e il 10% dei pazienti che ne vengono colpiti.

In passato è stata a lungo la causa più grande di decessi nell’infanzia. Nel 1921 per esempio, negli Stati Uniti furono registrati ben 206.000 casi che causarono oltre 15.000 morti.

Fu con l’avvento dei programmi di vaccinazione che si ottenne un rapido declino: se negli Stati Uniti, per proseguire con l’esempio, sono stati soltanto cinque i casi di difterite registati nell’ultimo decennio, nei paesi in via di sviluppo questa malattia rappresenta una costante minaccia, benché fortemente ridimensionata nei numeri.

Una rilevazione del 2011 parla di 5.000 casi di difterite a livello globale, ai quali probabilmente si devono aggiungere molti altri casi non segnalati, a causa di una diffusione maggiore in zone difficilmente monitorate da un qualsiasi sistema sanitario efficace. I ceppi che ancora resistono sono individuabili in alcune zone dell’Africa e dell’Asia meridionale.


La Scarlattina

La Scarlattina, malattia infettiva contagiosa, è causata dalla presenza di batteri che si trovano sulla pelle e nella gola ed ha caratteristiche esantematiche, facilmente riscontrabili in eruzioni che vanno dal colore rosa al rosso.

I batteri si diffondono attraverso lo starnuto o la tosse, tramite contatto, soprattutto se in in presenza di infezioni come l’impetigine o attraverso la condivisione di biancheria contaminata.

Ad oggi non esiste ancora un vaccino che possa prevenirne l’insorgenza.

Nella seconda metà dell’800, in Europa, il tasso di mortalità di chi veniva colpito dall’epidemia superò addirittura il 30%. A metà del ‘900 gli antibiotici e il miglioramento delle condizioni di vita hanno contribuito a rendere sempre più rara la presenza di questa malattia, almeno per quanto riguarda i paesi più sviluppati.

Tuttavia, nel 2014, più di 14.000 casi di scarlattina si verificarono in tutto il Regno Unito: si trattò della più grande ondata registrata dagli anni ’60, a testimonianza che non è impossibile che questa patologia possa avere altri ritorni di fiamma.


schema grafico che mostra come si diffonde la tubercolosi nei polmoni

La Tubercolosi

Conosciuta come La Piaga Bianca, la Tubercolosi ha rappresentato, soprattutto nell’Europa del XVIII Secolo, la più terribile e spietata causa di morte. L’asintomaticità dell’infezione che la veicola ha sempre reso complicata la sua diagnosi. La sua latenza si trasforma nella malattia attiva soltanto in un caso ogni dieci ma, se non trattata, in quel caso uccide il 50% delle volte.

Per i paesi del mondo occidentale la tubercolosi ha rappresentato una minaccia costante fino a metà del Novecento; da quel momento in poi i progressi medici hanno permesso di diagnosticare e curare la malattia con grande efficacia. Malgrado la nostra capacità di affrontare e arginare la diffusione della malattia non si deve abbassare la guarda: la tubercolosi, per esempio, infettò nel 2014 ben 9.400 persone negli Stati Uniti, in quello che è il più grande focolaio degli ultimi anni verificato nei paesi del Nord del mondo.

A livello globale, purtroppo, la tubercolosi ha continuato a diffondersi e a mietere le sue vittime: circa 1,5 milioni di persone nel 2013 a fronte di 9 milioni che hanno sviluppato la malattia.

Come detto la tubercolosi è curabile, ma nuove forme, resistenti ai farmaci, stanno causando a tutt’oggi grani difficoltà nel controllo della malattia.

L’infezione si diffonde nell’aria, favorita da situazioni di sovraffollamento e di scarsa ventilazione. Un sistema immunitario forte può normalmente combattere la malattia, ma la tubercolosi si impone in organismi di pazienti dalle difese immunitarie indebolite, in particolare le persone affette dal virus dell’HIV.


Il Rachitismo

Il rachitismo è una malattia che aggredisce, indebolisce e piega le ossa dei bambini. Questa patologia è comunemente causata da una carenza di vitamina D e di calcio, è spesso sottovalutata e considerata come una condizione specifica del XIX Secolo

Studi autoptici compiuti in alcune parti dei Paesi Bassi hanno mostrato che alla fine del 1800, ben l’80-90% dei bambini era affetto da rachitismo, ma il miglioramento delle condizioni di vita nei paesi sviluppati ha reso la malattia così rara che molti governi hanno smesso di preoccuparsene.

Anche se mancano dati completi sui tassi globali di diffusione del rachitismo, molti esperti ritengono che dedicare meno tempo all’aria aperta (la luce solare viene convertita in vitamina D) in combinazione con diete a scarso apporto di calcio, sta provocando una nuova insorgenza di questa patologia nei paesi sviluppati, soprattutto quelli delle nazioni più settentrionali.


La Poliomielite

L’umanità ha convissuto con la poliomielite per migliaia di anni. Il virus si diffonde attraverso il contatto con feci infette o con gocce di starnuto. Tramite questi veicoli raggiunge il cervello e il midollo spinale, causando gravi danni, in alcuni casi la paralisi.

Negli anni ’40 e ’50, soltanto negli Stati Uniti circa 35.000 persone sono diventate disabili a causa della polio.

Successivamente furono sviluppati dei vaccini efficaci che condussero alla Global Polio Eradication Initiative del 1988: in quegli anni la poliomelite rendeva paralizzati ogni giorno più di 1.000 bambini in tutto il mondo.

Da allora, più di 2,5 miliardi di bambini sono stati immunizzati, portando ad una riduzione del 99% dei casi riscontrati.

Benché la battaglia con questa spietata epidemia sembri praticamente vinta, ancora nel 2015 sono stati segnalati 51 casi di virus, tutti circoscrivibili ad un’area geografica che sta tra l’Afghanistan e il Pakistan. Si ha conoscenza della presenza del virus anche in zone molto specifiche dell’Africa soprattutto in Nigeria. Il resto del mondo è libero dalla malattia, anche se resta il rischio d’importazione da questi paesi in cui il virus è ancora presente.


 

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