immagine stilizzata del comportamento del cervello

Come il cervello riconosce gli oggetti

Uno studio del MIT svela un complesso meccanismo del cervello

Alcuni neuroscienziati provano come la corteccia inferotemporale del cervello sia in grado di identificare gli oggetti

Quando i nostri occhi sono aperti il flusso visivo passa dalla retina, attraverso il nervo ottico, fino al cervello, che assembla tutte le informazioni per ricostruire oggetti e scenari.

Gli scienziati avevano precedentemente ipotizzato come gli oggetti fossero riconosciuti nella circonvoluzione temporale inferiore (IT), che si trova vicino alla fine di questo percorso che le informazioni compiono, chiamato anche il flusso ventrale. Un nuovo studio condotto da neuroscienziati del MIT ce ne dà adesso conferma.

Utilizzando dati provenienti sia da primati umani che non umani, i ricercatori hanno riscontrato che i modelli di neuroni della corteccia IT sono correlati fortemente al successo delle attività cerebrali di riconoscimento degli oggetti.

Mentre sapevamo da lavori precedenti che le attività dei gruppi neuronali della corteccia temporale inferiore erano alla base del complesso sistema di riconoscimento degli oggetti, non avevamo fino ad oggi una mappa completa che ci permettesse di legarli alla percezione degli oggetti ed al comportamento. I risultati di questo studio invece dimostrano proprio questo, collegando la popolazione neuronale di quella zona specifica del nostro cervello al riconoscimento di diversi tipi di oggetti e al conseguente comportamento che la loro percezione stimola

dichiara James DiCarlo, coordinatore del Department of Brain and Cognitive Sciences del MIT, membro del McGovern Institute for Brain Research, e senior author dello studio apparso sul Journal of Neuroscience.

L’autore principale della ricerca è Najib Majaj, ricercatore che ha svolto il post dottorato proprio nel laboratorio curato dal Dr. DiCarlo e che adesso lavora presso la New York University. Gli altri autori, Ha Hong e Ethan Solomon, sono entrambi laureati presso il MIT.

Distinguere gli oggetti

Nella parte iniziale del percorso delle informazioni attraverso il flusso ventrale si ritiene che avvenga il riconoscimento di elementi visivi di base come la luminosità e l’orientamento. Funzioni molto più complesse invece si aggiungono nelle fasi successive: proprio il riconoscimento degli oggetti vero e proprio avverrebbe nella corteccia IT.

Per confermare questa teoria  i ricercatori hanno da prima chiesto a soggetti umani di eseguire 64 attività di riconoscimento degli oggetti. Alcuni di questi compiti erano molto banali, come distinguere una mela da un’auto. Altri – come distinguere due volti molto simili – erano così difficili che i soggetti hanno risposto correttamente soltanto nel 50% dei casi.

Dopo aver misurato le prestazioni umane, i ricercatori hanno poi utilizzato lo stesso set di quasi 6.000 immagini con primati non umani, registrando l’attività elettrica nei lor neuroni della corteccia temporale inferiore e di un’altra regione visiva nota come V4. Ognuno dei neuroni del gruppo della corteccia IT e di quelli della regione V4 si accendeva per alcuni oggetti e non per altri, dando ai ricercatori la possibilità di realizzare una vera e propria mappa da confrontare con quella realizzata studiando il comportamento del cervello dei soggetti umani.

I ricercatori hanno scoperto, nei primati non umani, che i modelli costruiti sulle reazioni dei neuroni della corteccia IT, e non quelli della regione V4, coincidevano perfettamente con le prestazioni umane che erano state misurate. Cioè, quando gli esseri umani hanno avuto difficoltà a distinguere due oggetti, i comportamenti neurali per quegli oggetti erano così simili da essere indistinguibili, mentre, come per le coppie in cui l’uomo è riuscito, i modelli neurali erano molto diversi.

Sulle stimolazioni semplici, la corteccia IT si è comportata così come negli esseri umani, sugli stimoli complessi ha fallito allo stesso modo, come ci aspettavamo – conferma Majaj -Abbiamo avuto conferma della correlazione tra comportamento e risposte neurali.

I risultati supportano l’ipotesi che i modelli di attività neurale nella corteccia IT possono codificare rappresentazioni di oggetti sufficientemente dettagliate da permettere al cervello di distinguere oggetti diversi, concludono i ricercatori.

Nikolaus Kriegeskorte, uno dei principali ricercatori presso la Cognition and Brain Sciences Unità di Medical Research Council di Cambridge, nel Regno Unito, pur non avendo fatto parte del team di ricerca concorda sul fatto che lo studio

offre la prova cruciale a sostegno dell’idea che la corteccia temporale inferiore contiene gli strumenti neuronali che portano al riconoscimento degli oggetti nell’apparato visivo umano. Questo studio è esemplare per il metodo originale e rigoroso con il quale si sono stabiliti legami tra le osservazioni cerebrali e le attività comportamentali umane.

I modelli di ricerca

I ricercatori hanno testato, inoltre,  più di 10.000 altri modelli possibili su come il cervello potrebbe codificare la rappresentazione degli oggetti. Questi modelli variano in base alla zona del cervello attivata, al numero di neuroni richiesti, e alla finestra di tempo utilizzata dall’attività neuronale. Molti di questi modelli però sono stati scartati in quanto offrivano risultati molto diversi paragonando quelli rilevati sugli esseri umani rispetto a quelli rilevati su altre forme di primati.

Volevamo che la performance dei neuroni riscontrate sui primati corrispondessero perfettamente a quelle dei modelli umani: e cioè che i compiti facili risultassero facili per la mentre i riconoscimenti complessi avvenissero, per i neuroni, con difficoltà – conclude Majaj.

Il gruppo di ricerca si ripropone adesso di raccogliere ancora più dati, attraverso la costruzione di nuovi modelli, più complessi, di riconoscimento. Nuovi test, sempre più specifici, richiederanno una più approfondita mappatura neuronale, che forse non è ancora completamente a disposizione della scienza.

Questi test, quindi, avranno il duplice scopo di permetterci di capire sempre di più, e meglio, come funzioni il rapporto tra il riconoscimento di ciò che ci circonda e il nostro comportamento, ma anche di avere una visione più chiara e attendibile dei vari livelli di reti neuronali che compongono il nostro complesso sistema visivo. Le frontiere della neuroscienza continuano ad espandersi ed è ancora difficile intuire dove potremo arrivare e che cosa scopriremo di nuovo su di noi.

fonte: MIT News

Una donna si tappa le orecchie chiaramente infastidita da un rumore

Perché certi piccoli rumori ripetuti sono insopportabili: la misofonia

La Misofonia

Un nuovo studio aiuta a capire perché certi piccoli rumori ripetuti
danno fastidio ad alcune persone [contiene due video]

La Misofonia è una forma di ridotta tolleranza al suono che fino ad oggi è stata ritenuta essere un disturbo neurologico. Un nuovo studio compiuto dalla Newcastle University prova a dimostrare come piccole anomalie cerebrali provochino questo fenomeno.

Ognuno di noi ha spesso provato sensazioni sgradevoli nel dover sopportare qualcuno che sta rumorosamente masticando un chewing-gum, giocherellando ripetutamente con il portachiavi o picchiettando con le dita sul tavolo. Ma questi piccoli rumori ripetuti, per alcune persone, risultano addirittura insopportabili, causando in loro una necessità impellente di spostarsi in altro luogo o di litigare con il vicino che li produce: queste persone sono affette da un disordine conosciuto come misofonia.

Uno dei ricercatori coinvolti, il Professor Tim Griffithsneurologo cognitivo presso la Newcastle University e la University College London, spiega che

anche io mi trovavo tra gli scettici rispetto alla reale esistenza di questo disordine, almeno fino a quando non abbiamo riscontrato che il fenomeno si presentava in maniera identica in molte persone che dicevano di esserne affette.

Una prima ricerca è stata effettuata su 20 soggetti affetti da misofonia, così come su 22 persone che invece non risultano esserne colpite. Tra coloro i quali si dichiarano colpiti dalla patologia, sottoposti ad una scansione cerebrale e costretti ad ascoltare piccoli rumori ripetuti, è stato riscontrata una medesima alterazione del sistema di controllo delle emozioni che provoca un affaticamento, un vero e proprio sovraccarico, delle funzioni cerebrali.

Le scansioni di questo stesso studio hanno anche rivelato che l’attività cerebrale nelle persone affette da misofonia mostra un modello diverso di connettività nel lobo frontale: la zona del nostro cervello che, tra le altre cose, ha anche il compito di sopprimere reazioni anomale ai suoni.

Questi piccoli suoni che attivano il disturbo, sempre secondo la ricerca, avrebbero anche effetti fisici sulle persone che ne sono affette: sudorazione, accelerazione del battito cardiaco ed altro.

Le finalità dello studio sono adesso quelle di provare ad elaborare un trattamento che riduca il fastidio, ma anche di sviluppare maggiori conoscenze che permettano un migliore approccio ad altre tipologie di reazioni emozionali abnormi.


Un video di spiegazione a cura del Canale YouTube LoSbrogliaMente, di Teresa Montesarchio


Il Professor Sukhbinder Kumar, titolare del gruppo che si è dedicato a questa ricerca innovativa, si dichiara soddisfatto per aver ottenuto una serie di riscontri che portano ad una sintomatologia diffusa tra i soggetti colpiti.

Tuttavia – aggiunge durante la conferenza stampa di presentazione della ricerca – la sindrome non viene riconosciuta in nessuno degli attuali sistemi di diagnostica clinica. Questo studio, attraverso l’osservazione dei cambiamenti critici che avvengono nel cervello, rappresenta una prova importante per convincere la parte scettica della comunità medica che ci troviamo di fronte ad un vero e proprio disturbo.

La mia speranza è quella di identificare il pattern di questo disordine, una firma, provocata dagli effetti dei piccoli rumori sulle attività del cervello. Quello che speriamo è che queste anomalie, o meglio i modelli che le descrivono, possano essere utilizzate per identificare un trattamento.

La ricerca è stata pubblicata dal gruppo di studio lo scorso 3 Febbraio, sulla rivista Current Biology.


Scopri in questo video-test alcuni dei suoni ritenuti insopportabili da soggetti affetti da misofonia!


 

il famoso "tocco delle dita" del Giudizio Universale di Michelangelo

Sensazioni fantasma: come il nostro cervello processa la sensazione del “tatto”

Sensazioni fantasma

Come il nostro cervello processa la sensazione del “tatto”

Vi è mai capitato che qualcuno vi toccasse il braccio sinistro quando, in realtà, aveva toccato quello destro? Gli scienziati conoscono questo fenomeno e lo chiamano sensazione fantasma: può aiutare a far luce su come il nostro cervello reagisce e processa la sensazione del tatto.

Il cervello umano è ancora per molti aspetti misterioso. Ci sono fenomeni complessi che sfuggono alla nostra comprensione, come il dolore agli arti fantasma che si verifica quando una persona crede di poter rilevare il dolore o altre sensazioni tattili ad un arto che ha perso con l’amputazione.

Alcune persone sperimentano allucinazioni tattili durante le quali credono erroneamente di provare una sensazione quando, in realtà, nessun fattore avrebbe potuto indurla.

Le allucinazioni tattili si verificano di solito in individui che sono sotto particolari condizioni psicologiche come la schizofrenia, ma non è raro che anche soggetti mentalmente e fisicamente sani possano sperimentare fenomeni simili.

Per esempio, quando una persona viene toccata sulla mano sinistra, può credere di aver percepito un tocco al piede sinistro o viceversa: questo è proprio il caso di ciò che gli scienziati chiamano sensazione fantasma: i ricercatori impegnati a studiare questa strana situazione sono ancora lontani da capire perché questo fenomeno si verifica.

In un nuovo studio recentemente realizzato, i cui risultati appaiono pubblicati su Current Biology, un team di ricercatori della New York University e delle Università di Amburgo e Bielefeld, in Germania, spiegano in dettaglio cosa caratterizza le sensazioni fantasma, sostenendo che una migliore comprensione di questo fenomeno potrebbe aiutare gli specialisti a decifrare altri misteri simili, compreso il dolore agli arti fantasma.

I limiti delle spiegazioni precedenti su come e dove i nostri processi cerebrali processano la sensazione del tocco, diventano evidenti quando si tratta di persone che hanno avuto parti del loro corpo amputate o che soffrono di malattie neurologiche – osserva il coautore dello studio Prof. Tobias Heed.

Egli sottolinea che, fino ad oggi, gli scienziati hanno appreso sorprendentemente poco su come il cervello umano elabori la sensazione del tatto.

Le persone che hanno avuto una mano o una gamba amputata spesso riferiscono sensazioni fantasma su quegli arti – prosegue il Prof. Heed – . Ma da dove viene esattamente questa falsa percezione?

Studiando a fondo i processi cerebrali

Fino ad oggi gli scienziati pensavano che la nostra percezione cosciente di dove si è verificato un tocco derivasse da una mappa topografica archiviata nel nostro cervello. Seguendo questa ipotesi, parti del corpo come le mani, i piedi o il viso, sarebbero rappresentati su questa mappa.

Tuttavia questo nuovo studio, che si è concentrato sull’analisi comportamentale in partecipanti pienamente sani, indica che il modo in cui il cervello attribuisce le sensazioni tattili è molto più complicato.

Nello studio in questione i ricercatori hanno condotto cinque diversi esperimenti, ognuno dei quali ha coinvolto la collaborazione di 12-20 adulti sani. Durante ogni esperimento i partecipanti hanno accettato di avere degli stimolatori tattili attaccati alle mani e ai piedi. I ricercatori hanno utilizzato questi stimolatori per generare sensazioni tattili in due diverse parti del corpo in rapida successione e poi hanno chiesto ai partecipanti di segnalare dove avevano sentito i tocchi. Questa tipologia di test è stata poi ripetuta diverse centinaia di volte per ogni partecipante.

Sorprendentemente, nell’8% di tutti i casi, i soggetti hanno attribuito il primo tocco ad una parte del corpo che non era stata nemmeno toccata – dandoci modo di verificare una discreta distribuzione della presenza di sensazioni fantasma – dichiara il ricercatore capo dell’esperimento, Stephanie Badde.

Le 3 caratteristiche delle sensazioni fantasma

La concezione precedente, come abbiamo accennato, attribuiva la posizione di un tocco dipendente da mappe del corpo conosciute dal nostro cervello: tutto ciò però non combacia in alcun modo con queste nuove scoperte.

Lo studio dimostra che le sensazioni fantasma possono avere 3 caratteristiche diverse:

  • L’identità dell’arto: un tocco su una mano viene percepito dall’altra mano.
  • Il lato del corpo: una persona potrebbe pensare di sentire un tocco alla mano destra quando, di fatto, si è verificato sul piede destro.
  • La normale posizione anatomica dell’arto (destro o sinistro). Per esempio, se una persona incrocia le braccia o le gambe, posizionando l’arto destro a sinistra del corpo, potrebbe erroneamente percepire un tocco al braccio destro come un tocco al piede sinistro.

Quando parti del corpo vengono posizionate sull’altro lato, per esempio quando incrociamo le gambe, i due sistemi di coordinate entrano in conflitto -prosegue il Prof. Heed.

I risultati attuali non si limitano a contraddire le precedenti conoscenze sulla modalità del cervello di elaborarare la percezione del tatto, ma quanto, in futuro, aiutare a guidare la ricerca sulle sensazioni degli arti fantasma e altri fenomeni correlati.

Un mistero affascinante che ci apre nuove porte per una maggiore conoscenza del nostro organo pensante.


 

un uomo co una folta barba è illuminato da una fila di led viola

Quale emisfero del cervello utilizzi di più?

Quale emisfero del cervello utilizzi di più?

Fatti e mistificazioni sul nostro “organo pensante”

Quante volte vi è capitato di trovare in Rete un quiz o qualcosa di simile che pretendeva di riuscire a farvi capire quale esmisfero del cervello determinasse il vostro modo di essere?

L’importanza che viene attribuita a questa eventuale risposta, nel sentire comune, avrebbe infatti implicazioni sulla nostra personalità. Molti credono che le persone che utilizzano prevalentemente la parte sinistra del cervello dovrebbero essere più inclini alla matematica e alle scienze analitiche, mentre le persone che utilizzano la parte destra avrebbero una propensione naturale verso la creatività.

Ma quanto di tutto ciò è vero? Come spesso accade la risposta più sensata è “soltanto in parte“. Anche se è vero che ognuno dei nostri emisferi svolge ruoli leggermente diversi, gli individui in realtà non hanno un lato dominante del cervello che governa la loro personalità e le loro abilità.

La ricerca ha rivelato piuttosto che le persone usano entrambi gli emisferi cerebrali praticamente in egual misura. Tuttavia, ciò che è vero è che l’emisfero sinistro del cervello è più collegato all’uso del linguaggio, mentre l’emisfero destro è applicato più alla complessità della comunicazione non verbale.

Destra contro Sinistra

No, non vogliamo scendere nell’agone politico, ma semplicemente parlare del dualismo presunto degli emisferi del nostro cervello.

Secondo la credenza popolare ognuno ha un lato del proprio cervello che è dominante e determina la personalità, i pensieri e il comportamento.

Dato che le persone possono essere mancine o destrorse, viene dato per scontato che possano quindi essere anche dominate da un emisfero invece che dall’altro.

Si dice quindi che le persone che si avvalgono prevalentemente della parte sinistra del cervello siano più:

  • analitici
  • logici
  • attenti al dettaglio e orientati verso i fatti
  • abili con i numeri
  • predisposte a pensare utilizzando le parole

Le persone invece con l’emisfero destro preponderante sarebbero più:

  • creative
  • aperte al libero pensiero
  • in grado di vedere il quadro generale delle cose
  • intuitive
  • probabilmente abituate a pensare per visualizzazioni piuttosto che con le parole

Che cosa ci dice la ricerca?

Ricerche recenti suggeriscono che la teoria del cervello sinistro e del cervello destro non è corretta.

Uno studio del 2013 ha esaminato le immagini tridimensionali di oltre 1.000 cervelli. In quell’occasione è stata misurata l’attività di entrambi gli emisferi grazie all’ausilio di uno scanner per la risonanza magnetica. I risultati ottenuti mostrano che ogni persona usa entrambi gli emisferi del cervello e che non sembra esserci un lato dominante.

Tuttavia è risultato vero che l’attività cerebrale di una persona differisce a seconda del compito che stasvolgendo. Ad esempio un altro studio afferma che i centri del linguaggio nel cervello si trovano nell’emisfero sinistro, mentre l’emisfero destro è specializzato per le comunicazioni emozionali e non verbali.

Il contributo portato alla ricerca sulla specializzazione emisferica delle funzioni cognitive ha portato, per esempio Roger W. SperryDavid Hunter Hubel e Torsten Nils Wiesel a vincerei il Premio Nobel nel 1981. Tuttavia, l’esagerazione culturale popolare attorno a queste scoperte ha portato allo sviluppo di credenze sulle personalità diverse in relazione alla preponderanza di un emisfero rispetto all’altro.

La dominanza emisferica differisce da persona a persona?

Il lato del cervello utilizzato in ogni attività non è lo stessa per ogni persona. Il lato del cervello che viene utilizzato per determinate attività può essere influenzato, per esempio, dal fatto che una persona sia mancina o destrorsa.

Uno studio del 2014 osserva che fino al 99% degli individui destrimani ha centri linguistici nella parte sinistra del cervello. Ma così è anche per circa il 70% delle persone mancine.

La dominanza emisferica varia da persona a persona anche in base alle diverse attività. Alla Scienza saranno necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno tutti i fattori che influiscono su questo aspetto.

In conclusione

La teoria che la personalità di una persona sia legata al predominio dell’emisfero sinistro o di quello destro del cervello non è supportata dalla ricerca scientifica.

Alcune persone potrebbero credere che questa teoria sia effettivamente in linea con le loro attitudini. Tuttavia, per comprendere la complessità di questo incredibile organo, non si dovrebbe fare affidamento su impressioni di questo tipo quanto invece si dovrebbe utilizzando modelli scientificamente accurati.

La convinzione comune sull’influenza degli emisferi sulla nostra personalità può essersi radicata così tanto perché, in realtà, l’attività cerebrale non è simmetrica e varia da persona a persona.


 

una ragazza in riva al mare allarga le braccia per godersi gli ultimi raggi di sole

Perchè la vitamina D non può fare miracoli nella cura delle malattie del cervello

Perché la Vitamina D non può fare miracoli
nella cura delle malattie del cervello

Per molto tempo si è pensato che la Vitamina D avesse delle proprietà benefiche per combattere malattie del cervello come la Sclerosi Multipla, il Morbo di Parkinson o l’Alzheimer, ma una recente ricerca che si è concentrata sull’analisi di ben 70 studi realizzati a livello mondiale nel corso degli ultimi anni, dimostra il contrario.

La Vitamina D è un elemento assolutamente indispensabile per il nostro organismo sotto molti punti vista; il fatto che si pensasse potesse essere decisiva contro le malattie del cervello dipende dal fatto che ai pazienti con malattie neurodegenerative viene molto spesso rilevata una bassa presenza di questo elemento nell’organismo. Questo aveva indotto al convincimento che un incremento dei livelli di Vitamina D, siano essi procurati tramite esposizione ai raggi solari, a trattamenti UV o attraverso pillole integrative, potesse essere di beneficio per il malato.

Moltissimi sono i casi di persone che assumono dosi elevate di Vitamina D come forma di prevenzione verso l’insorgenza di malattie neurodegenerative, o comunque per rallentarne gli effetti spesso devastanti.

Uno studio dell’Università di Adelaide, pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Nutritional Neuroscience, rielabora, confronta e porta a sintesi l’analisi contenuta in ben 70 ricerche effettuate precedentemente da ricercatori di varie parti del mondo, confermando che non esiste alcun elemento di evidenza di un rapporto tra i livelli di Vitamina D presenti nell’organismo e malattie neurodegenerative. Nessun riscontro, in definitiva, sul fatto che la Vitamina D possa essere un supereroe a disposizione del nostro meraviglioso ma delicato cervello.

Quello che invece rimane certo è che la carenza di Vitamina D può rappresentare un problema molto grave per il nostro organismo per molte altre ragioni. Per questo è sempre importante rivolgersi al proprio medico di fiducia per valutarne i livelli, essere guidati per sapere se si è di fronte ad una carenza o ad un’insufficienza e ricevere le corrette istruzioni per riequilibrarne la presenza.


 

28 curiosità sul corpo umano

25 curiosità sul Corpo Umano che forse non sai…

25 Curiosità sul Corpo Umano che forse non sai…
ma una non è vera!

Curiosando in rete alla ricerca di materiale che ci serve per la realizzazione di futuri contenuti ci siamo imbattuti in questa simpatica infografica che arriva dagli States. Chi non conosce il simpatico gioco de “L’allegro Chirurgo“? Negli ultimi tempi è stato anche rispolverato per le nuove generazioni. 

Invece di proporvi un approfondimento medico – che non mancherà a breve – abbiamo pensato di affrontare questi giorni di caldo proponendovi alcune curiosità sul corpo umano che comunque sono assai sfiziose e interessanti da conoscere.

Leggendo questa lista di 28 curiosità scoprirete come molte delle cose che diamo per scontate in medicina siano in realtà frutto di ricerche e sperimentazioni che hanno dato risultati concreti soltanto in epoca recente.

Quali balzi compirà la medicina nei prossimi anni? Sicuramente ne saremo testimoni assieme a voi. Ne riparleremo quindi qui nel blog tra vent’anni, ma per adesso… la lista!

  1. Una singola cellula cerebrale può contenere da sola ben cinque volte le informazioni contenute su Wikipedia (beh, almeno Wikipedia per come la conosciamo  oggi, tra vent’anni forse…)
  2. Il tuo corpo sviluppa e rilascia in mezz’ora calore bastante per far bollire circa 2 litri d’acqua (in questi giorni poi…)
  3. Il nostro cervello utilizza per funzionare la stessa energia di una lampadina da 10 watt
    calore corporeo
  4. Le bionde tendono ad avere più capelli (ok, senza questa notizia potevamo anche sopravvivere)

    bionde capelli
    Photo © by Ben Raynal on flickr


  5. Molti bambini nascono con gli occhi azzurri (cosa che poi spesso cambia nei primi giorni di vita)

    bambini occhi azzurri
    Photo © by Eric Fleming on flickr


  6. Il primo trapianto facciale parziale realizzato con successo è stato effettuato nel 2005
  7. Il primo trapianto facciale completo realizzato con successo è stato effettuato invece nel 2010
  8. Gli impulsi nervosi viaggiano da e verso il cervello all’incredibile velocità di 275 km/h
  9. Il primo successo nel trapianto di una trachea umana è avvenuto nel 2008 utilizzando cellule staminali dello stesso paziente
  10. Lo starnuto viaggia alla velocità di 160 km/h

    starnuto
    Photo © by Allan Foster on flickr


  11. Il primo trapianto di polmone è avvenuto con successo soltanto nel 1983. In realtà il primo trapianto in assoluto avvenne nel 1963 ad opera del Dr. James Hardy ma si trattò di un caso eccezionale se teniamo conto che per molti anni a venire non si sarebbe riusciti a superare il problema del rigetto.  L’operazione del 1983 fu la prima ad ottenere risultati duraturi e fu ad opera del Dr. Joel D. Cooper.
  12. Il primo trapianto di cuore al mondo fu eseguito il 3 dicembre 1967 dal chirurgo sudafricano Christiaan Barnard all’ospedale Groote Schuur di Città del Capo, su Louis Washkansky, di 55 anni, che morì 18 giorni dopo. Il 2 gennaio 1968 lo stesso professor Barnard eseguì il secondo trapianto cardiaco sul dentista Philip Bleiberg, che visse con il cuore nuovo per 19 mesi.Il primo intervento di trapianto cardiaco in Italia fu eseguito il 14 novembre 1985 a Padova, dall’equipe del professor Vincenzo Gallucci, che trapiantò con successo il cuore di un ragazzo di 18 anni sul mestrino Ilario Lazzari, scomparso nel 1992.
  13. Nel 2008 avvenne con successo il primo trapianto completo di un braccio
  14. Gli acidi contenuti nello stomaco sono potenti al punto da essere in grado di sciogliere una lametta di rasoio
  15. Il primo trapianto di fegato con successo è stato effettuato nel 1967: nonostante il progredire delle tecniche chirurgiche il trapianto di fegato rimase nella fase sperimentale per tutti gli anni settanta, con circa il 25% dei pazienti che sopravvivevano almeno un anno. L’uso della ciclosporina migliorò decisamente i risultati e negli anni ottanta il trapianto di fegato divenne un trattamento clinico standard sia per adulti sia per bambini.
    Il primo trapianto di fegato in Italia venne eseguito il 20 maggio 1982 al Policlinico Umberto I dell’Università di Roma “La Sapienza” dal Prof. Raffaello Cortesini e la sua équipe.

  16. Il primo trapianto di pancreas avvenuto con successo risale al 1966: Il primo trapianto di pancreas venne eseguito da un gruppo americano guidato da Richard Lillehei e William Kelly e attualmente è considerato una procedura terapeutica consolidata per la cura del diabete di tipo I.

  17. Il più grande organo interno del nostro corpo è l’intestino tenue
  18. L’unghia che cresce più rapidamente è quella del dito medio
  19. L’ovulo è la più grande cellula nel corpo umano, mentre la più piccola è lo spermatozoo
  20. Il primo trapianto di rene con successo è stato realizzato nel 1954: Nel 1954 Joseph Murray realizzò il primo trapianto renale tra gemelli monozigoti a Boston, e per la prima volta l’organo venne alloggiato nella fossa iliaca. Per questo intervento, Murray ottenne nel 1990 il premio Nobel per la medicina. Analoghi interventi vennero tentati a Parigi e, qualche anno più tardi, a Edimburgo. Il primo trapianto renale nel Regno Unito fu eseguito da Michael Woodruff nel 1960, mentre il primo in Italia da Aldo De Maria nel 1966.
  21. Il primo trapianto di una mano avvenuto con successo risale al 1998
  22. Soltanto nel 2008 è nato il primo bambino da un’ovaia trapiantata
  23. Quando nasce un neonato ha circa 300 ossa. Le ossa di un adulto invece sono soltanto 206
  24. Facendo anche soltanto un passo di mettono in moto ben 200 muscoli

    un passo
    Photo © by tayntaym on flickr


  25. Se mettete “Mi Piace” e ricondividete questo articolo sui Social Media il vostro stato di benessere generale migliorerà: Ok, non è vero, però speriamo di avervi fatto sorridere e ricostruire date che magari pensavamo lontanissime ma che invece ci hanno portato alcuni miglioramenti impressionanti della medicina soltanto negli ultimi decenni.

L’infografica di copertina è © di Jerry James Stone (@jarryjamesstone)